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Breve commento: Costi indeducibili e società di capitali a base ristretta: quali conseguenze per il reddito dei soci?

Cassazione civile sez. VI, 25/08/2022, (ud. 24/05/2022, dep. 25/08/2022), n.25322

La sentenza in commento aderisce ad un recente orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte (Cass. 2224/2021) secondo il quale nelle società a ristretta base partecipativa, in caso di indeducibiltà del costo per sua inesistenza, o carenza di documentazione idonea,  il reddito maggiorato in considerazione della ripresa fiscale si presume distribuito nel corso del medesimo esercizio ai soci.

Il principio viene però applicato anche nel caso in cui tale costo “sia stato effettivamente sostenuto, con somme erogate in concreto dalla società“, sostenendosi, da parte della S.C., che “anche in tali casi la società matura un reddito di impresa di importo maggiore a quello dichiarato, con presunzione di distribuzione dello stesso ai soci in proporzione della quota posseduta. In tali ipotesi, infatti, la società ha erogato tutte le somme presenti nel passivo del conto economico tra i costi, ma si tratta di costi indeducibili che vanno ad alterare il conto economico, che, una volta emendato da tale errore, comporta inevitabilmente ricavi maggiori e, quindi, un reddito maggiore rispetto a quello dichiarato. Anche in questo caso si genera un maggiore reddito che si presume distribuito ai soci delle società a ristretta partecipazione“.

La parificazione della nozione di “costo inesistente” a quello di “costo indeducibile” appare francamente poco comprensibile, in special modo con riguardo alla presunzione di maggiori utili contestati alla società a seguito della irrilevanza delle somme corrispondenti ed alla conseguente presunzione di distribuzione degli “utili” tra i soci: se tale impostazione è, da una parte, del tutto legittima con riguardo alla inesistenza oggettiva del costo riscontrato in contabilità, dall’altra tale conclusione appare poco coerente con riguardo a tutti i casi in cui il costo sia stato effettivamente sostenuto ma non riconosciuto per difetto di deducibilità/inerenza. Si tratta, infatti, di contesti nei quali l’esborso di somme da parte della società non viene considerato ai fini fiscali con conseguente rideterminazione dell’imponibile soggetto a tassazione, ma che non genera in alcun modo un utile proprio perchè azzerato dalla operazione contraria relativa al costo effettivo.

Il vantaggio conseguito, in prima battuta, dal soggetto giuridico corrispondente al risparmio di imposta (peraltro in proporzione alle relative aliquote), ma a fronte di un esborso certo, non può consentire di ritenere, neppure a livello presuntivo, la distribuzione di somme ai soci proprio perchè l’operazione è, dal punto di vista economico, essenzialmente neutra (al contrario di quella caratterizzata da costi inesistenti).

E’ del tutto evidente che, ad ogni modo, tali conseguenze dovranno essere vagliate, per quanto riguarda i nuovi accertamenti, attraverso le modifiche introdotte dalla nuova disciplina sul contenzioso tributario, con particolare riguardo all’onere della prova a carico della A.F. circa la “sostenibilità giuridica” delle proprie conclusioni anche in riferimento alle presunzioni riferite alla distribuzione degli utili nelle società di capitali a base ristretta.

 

STUDIO LEGALE AMATUCCI

 

 

Cassazione civile sez. VI, 25/08/2022, (ud. 24/05/2022, dep. 25/08/2022), n.25322

Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. M.A., socio al 50% della società (OMISSIS) s.r.l., proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate, rideterminando il maggiore reddito della società, con conseguente recupero, per l’anno 2012, di Ires, imputava la ripresa fiscale (sotto forma di presunzione di distribuzione pro quota del maggior reddito societario) anche ai soci al 50%, stante la ristretta base societaria.

2. La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso e, sull’impugnazione del contribuente, la Commissione Regionale Tributaria della Regionale della Campania accoglieva l’appello, rilevando che nella fattispecie in esame non trovava applicazione la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, in quanto il maggior reddito della società era stato determinato mediante il disconoscimento di parte delle spese dedotte.

3. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate affidandosi ad un unico motivo. Il contribuente ha resistito depositando controricorso.

4. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

5. In prossimità della camera di consiglio il resistente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto
RITENUTO IN DIRITTO

1. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, lett. d), art. 83 T.U. 917/86, e art. 2606 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; si sostiene che la CTR abbia errato nel non applicare la presunzione di distribuzione del maggior reddito delle società a ristretta base sociale al disconoscimento della variazione in diminuzione di cui all’art. 83 Tuir.

2. Va preliminarmente rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso, atteso che quest’ultimo contiene l’esposizione chiara ed esauriente dei fatti di causa, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, delle argomentazioni essenziali sulle quali si fonda la sentenza impugnata, ritualmente prodotta in giudizio, e sulle quali si chiede alla Corte di Cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamente erronea compiuta dal giudice di merito.

3. Il motivo è fondato.

In forza di un principio ribadito in più occasione dai giudici della Suprema Corte, l’accertamento di utili extracontabili in capo alla società di capitali a ristretta base sociale consente di inferire la loro distribuzione tra i soci in proporzione alle loro quote di partecipazione, salva la facoltà per gli stessi di fornire la prova contraria costituita dal fatto che i maggiori ricavi non siano stati fatti oggetto di distribuzione, ma siano, invece, stati accantonati dalla società, ovvero da essa reinvestiti (cfr., tra le tante, Cass. 26248/2010, Cass. 8473/2014 e, da ultimo, Cass. 27049/2019). In particolare, si è precisato, che la presunzione di distribuzione ai soci degli utili non contabilizzati non viola il divieto di presunzione di secondo grado, poiché il fatto noto non è costituito dalla sussistenza dei maggiori redditi induttivamente accertati, ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci che, in tal caso, normalmente caratterizza la gestione sociale (Cass. 22 aprile 2009, n. 9519).

3.1. Ciò premesso, con riferimento alla determinazione del reddito, questa Corte insegna che “i costi costituiscono un elemento rilevante ai fini della determinazione del reddito d’impresa, sicché quando essi siano “fittizi” o “indeducibili”, scatta la presunzione che il medesimo è maggiore di quanto dichiarato o indicato in bilancio, con la conseguenza che non può riscontrarsi alcuna differenza tra la percezione di maggiori ricavi e l’indeducibilità o inesistenza di costi” (cfr. Cass. 17959/2012 e 17960/2012). Ed ancora, secondo un più recente orientamento, “Tale principio, invero, trova applicazione nelle società a ristretta base partecipativa quando la società abbia indicato in bilancio dei costi inesistenti, quindi indeducibili perché non documentati. In tale ipotesi, infatti, i costi non sono stati in alcun modo sostenuti dalla società, sicché il reddito di impresa effettivo conseguito nel corso dell’esercizio è costituito da quello dichiarato con l’aggiunta però dei costi inesistenti. Tale reddito maggiorato, quindi, si presume sia stato distribuito nel corso del medesimo esercizio ai soci. La situazione è analoga anche nel caso in cui il costo è indeducibile, per le più variegate ragioni (magari perché è stato violato il principio di competenza D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 109, sicché la somma doveva essere versata in altro esercizio, o per mancata inerenza o per violazione di norme fiscali, come il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 99), ma è stato effettivamente sostenuto, con somme erogate in concreto dalla società. Anche in tali casi la società matura un reddito di impresa di importo maggiore a quello dichiarato, con presunzione di distribuzione dello stesso ai soci in proporzione della quota posseduta. In tali ipotesi, infatti, la società ha erogato tutte le somme presenti nel passivo del conto economico tra i costi, ma si tratta di costi indeducibili che vanno ad alterare il conto economico, che, una volta emendato da tale errore, comporta inevitabilmente ricavi maggiori e, quindi, un reddito maggiore rispetto a quello dichiarato. Anche in questo caso si genera un maggiore reddito che si presume distribuito ai soci delle società a ristretta partecipazione” (cfr. Cass. 2224/2021).

La CTR, nel ritenere che i maggiori utili non contabilizzati della società a ristretta base potevano presumersi distribuiti ai soci solo in presenza di maggiori ricavi, ma non a causa di indebite deduzioni di imposta, non si è uniformata ai principi sopra esposti.

4. In accoglimento del ricorso, va cassata l’impugnata sentenza e la causa va rinviata alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

PQM
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta – T Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 24 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 25 agosto 2022

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