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Bancarotta fraudolenta: il codice della crisi di impresa non ha inciso sul reato

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 10 dicembre 2019 – 4 febbraio 2020, n. 4772
Presidente Sabeone – Relatore Stanislao

Ritenuto in fatto

1. Con la sentenza impugnata, del 16 maggio 2019, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma ha applicato a M.F. la pena concordata fra le parti nella misura indicata in dispositivo, per i reati contestatigli ai sensi dell’art. 110 c.p., art. 223, comma 2, n. 1, in relazione all’art. 2621 c.c., e L. Fall., art. 219.
2. L’imputato ha proposto ricorso, a mezzo del difensore, deducendo, con l’unico motivo, la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione alla omessa applicazione del disposto dell’art. 129 c.p.p. in quanto, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 14 del 2019, artt. 389 e 390, di riforma della legge fallimentare, si era verificata l’ipotesi di “abolitio criminis”, essendo mutata la legge extrapenale posta a fondamento delle norme penali incriminatrici.
3. Il Procuratore generale presso questa Corte, nella persona del sostituto Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, ha chiesto venga dichiarata l’inammissibilità del ricorso non essendo già entrata in vigore la normativa invocata.

Considerato in diritto

Il ricorso presentato nell’interesse dell’imputato è inammissibile, per una pluralità di motivi.
1. Innanzitutto perché le norme in base alle quali il Tribunale ha pronunciato la sentenza di patteggiamento risultano ancora in vigore posto le nuove norme incriminatrici contenute nel D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – il “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della L. 19 ottobre 2017, n. 155” entreranno in vigore, a norma dell’art. 389 del medesimo decreto, solo decorsi diciotto mesi dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 14 febbraio 2019, e, quindi il 15 agosto 2020.
In secondo luogo, perché le nuove norme appaiono in perfetta continuità normativa con le precedenti norme contenute del R.D. 16 marzo 1942, n. 267.
Al prevenuto, in particolare, è stata ascritta la violazione, in concorso con gli altri amministratori, dell’art. 223, comma 2, n. 1, del R.D., in relazione all’art. 2621 c.c., avendo riportato, nei bilanci di esercizio della fallita (dichiarata tale con sentenza del 3 ottobre 2013) s.r.l. (omissis) del 2009, 2010 e 2011, fatti non corrispondenti al vero, occultando perdite tali da annullare il patrimonio netto e così cagionando il dissesto della stessa.
La fattispecie astratta ascritta al prevenuto è pertanto la seguente:
“Art. 223.
Fatti di bancarotta fraudolenta.
1. Si applicano le pene stabilite nell’art. 216 agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società dichiarate fallite, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
2. Si applica alle persone suddette la pena prevista dalla L. Fall., art. 216, comma 1, se:
1) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 c.c.;
Non diversamente, ed anzi riproducendo la lettera della precedente norma, nel “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 14 febbraio 2019, sotto l’identica rubrica “Fatti di bancarotta fraudolenta”, l’art. 329 prevede che:
1. Si applicano le pene stabilite nell’art. 322 (nei casi di “bancarotta fraudolenta” patrimoniale e documentale commessi dall’imprenditore dichiarato “in liquidazione giudiziale”, e, quindi, non più “fallito”) agli amministratori, ai direttori generali, ai sindaci e ai liquidatori di società in liquidazione giudiziale, i quali hanno commesso alcuno dei fatti preveduti nel suddetto articolo.
2. Si applicano alle persone suddette la pena prevista dall’art. 322, comma 1, se:
a) hanno cagionato, o concorso a cagionare, il dissesto della società, commettendo alcuno dei fatti previsti dagli artt. 2621, 2622, 2626, 2627, 2628, 2629, 2632, 2633 e 2634 c.c..
Non vi è pertanto alcuna discontinuità del precetto penale (nè la risposta sanzionatoria risulta diversa) che subentrerà all’attuale disciplina.
Nè, nell’odierna fattispecie, si è fatta questione circa l’applicabilità della, questa sì nuova, causa di non punibilità o, in alternativa (qualora non ricorra il danno di speciale tenuità), circostanza attenuante, previste dall’art. 25, comma 2, del Codice della crisi d’impresa, e peraltro riconducibili ad una iniziativa dell’imprenditore prevista solo dalle nuove norme.
2. Quanto alle modifiche introdotte nelle norme civilistiche che presiedono ai presupposti della liquidazione dell’impresa ed alla procedura da seguire, solo in minima parte già entrate in vigore (in applicazione dell’art. 389, comma 2 del decreto), sostituendo anche al “fallimento” la “liquidazione” della stessa non si ravvisano elementi concreti – e certo non possono esserlo la diversa distribuzione di compiti e poteri del giudice delegato, del curatore, dei creditori e del soggetto interessato e le diverse scansioni processuali – tali da mutare il presupposto, l’”insolvenza dell’impresa”, su cui si fondano le norme penali, che, difatti, sono rimaste immutate, tranne nell’aggiornamento del lessico dei nuovi presupposti di applicabilità.
3. Il ricorso è, pertanto come si è detto inammissibile anche perché l’art. 448 c.p.p., comma 2 bis, lo consente contro la sentenza di patteggiamento “solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione fra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto ed alla illegalità della pena o della misura di sicurezza”.
L’inammissibilità deve essere dichiarata de plano ai sensi dell’art. 610 c.p.p., comma 5 bis, e comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, anche della somma di Euro 4.000 a favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 4.000 a favore della Cassa delle Ammende.

http://www.dirittoegiustizia.it/news/15/0000097336/Bancarotta_fraudolenta_il_codice_della_crisi_di_impresa_non_ha_inciso_sul_reato.html

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