La ragione di credito costituisce titolo di legittimazione dell’azione revocatoria
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 7 novembre 2019 – 19 febbraio 2020, n. 4212
Presidente Scoditti – Relatore Pellecchia
Rilevato che:
1. Nel 2015, il Fallimento (omissis) s.p.a. convenne in giudizio M.F. e M.V. , rispettivamente padre e figlio, per sentir revocare, ai sensi dell’art. 2901 c.c., l’atto di donazione immobiliare rogato il 14 gennaio 2010 tra il primo, allora Presidente del Collegio Sindacale della (omissis) s.p.a., e il secondo.
A fondamento della sua pretesa, assunse che a seguito del dichiarato Fallimento della (omissis) s.p.a., con sentenza del Tribunale di Napoli del 12-13 giugno 2014, si sarebbero riscontrati illeciti gestionali da parte degli amministratori e dei membri del collegio sindacale, di cui avrebbe fatto parte il Dott. M.V. per omesso controllo.
Si costituirono in giudizio M.F. e M.V. , con separati atti di costituzione, contestando le avverse pretese sia in fatto che in diritto.
Con sentenza n. 2369/2016, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere accolse la domanda attorea e, per l’effetto, dichiarò l’inefficacia, nei confronti della curatela del fallimento (omissis) s.p.a., dell’atto di donazione, condannando i convenuti, in solito tra loro, al pagamento delle spese di lite.
2. Avverso detta pronuncia, M.F. e M.V. proponevano appello.
La Corte d’appello di Napoli, con sentenza n. 1658 del 12 aprile 2017, confermava la pronuncia del giudice di prime cure, precisando che ai fini dell’accoglimento dell’azione revocatoria non è necessaria la sussistenza di un credito certo, liquido ed esigibile, essendo sufficiente una ragione di credito anche eventuale, rilevando a tal fine anche i crediti litigiosi o comunque oggetto di contestazioni, purché non manifestamente pretestuosi.
E nel caso di specie il fallimento poteva agire in revocatoria a tutela di un credito in relazione a cui, a tale epoca, non aveva ancora promosso un giudizio di accertamento, avendo comunque compiutamente allegato nell’atto di citazione i fatti costitutivi del credito risarcitorio asseritamente vantato.
3. M.F. propone ricorso per Cassazione, sulla base di tre motivi. Il Fallimento della (omissis) S.p.A. resiste con controricorso.
4. È stata depositata in cancelleria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., e regolarmente notificata ai difensori delle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza, la proposta di inammissibilità del ricorso. Il ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che:
5.1. Con il primo motivo di ricorso articolato in più censure, parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto -travisamento dei fatti – degli artt. 2901, 2697, 2727 e 2729 del c.c., art. 12 preleggi e artt. 41 e 42 Cost., artt. 34, 38 e 100 c.p.c., D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 2 convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
La Corte d’appello non avrebbe correttamente interpretato la sentenza delle SS.UU. n. 9440/2004, nella parte in cui ha ritenuto ammissibile il rimedio revocatorio, non solo a tutela di un credito meramente eventuale, da accertarsi in un giudizio ancora da instaurare, ma anche per “i crediti comunque oggetto di contestazioni purché non manifestamente pretestuosi”.
Invero, nella richiamata sentenza, le Sezioni Unite, nell’ammettere la legittimazione ad agire per il “creditore eventuale”, avrebbero fatto rientrare soltanto il “credito sottoposto a termine o condizione” (espressamente richiamato dall’art. 2901 c.c.) e il “credito litigioso”, derivante finanche da atto illecito, da intendersi esclusivamente il credito potenzialmente derivante da un giudizio già intrapreso. Pertanto, nel caso de quo, non pendendo alcun giudizio di accertamento del credito risarcitorio in danno del Dott. M. , nè alcuna azione di accertamento del preteso credito, ne conseguirebbe il difetto di legittimazione attiva e/o interesse ad agire del fallimento, non essendo lo stesso titolare di un credito neppure “eventuale”, nell’accezione chiarita dalla Giurisprudenza di Legittimità.
In secondo luogo, la ricorrente evidenzia come il Giudice del gravame non avrebbe neppure potuto procedere all’accertamento del credito neanche incidenter tantum, poiché il Tribunale di Santa Capua Vetere sarebbe territorialmente e funzionalmente incompetente a conoscere delle cause di responsabilità avverso gli organi gestori e di controllo di una società di capitali, a seguito della previsione del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 2, convertito con modificazioni nella L. 24 marzo 2012, n. 27, il quale istituisce la figura delle “Sezioni specializzate in materia di impresa.
5.2. Con il secondo motivo di ricorso, parte ricorrente si duole della violazione o falsa applicazione di norme di diritto- travisamento dei fatti-art. 2091, 2697, 2727 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza ha ritenuto sussistenti i presupposti dell’azione ex art. 2901 c.c. in relazione all’elemento oggettivo dell’eventus damni.
La sentenza avrebbe erroneamente assunto la sussistenza dell’elemento oggettivo dell’eventus damni, ritenendo ininfluente la circostanza secondo cui il Dott. M. aveva acquistato altro immobile dopo l’atto revocato, nonché ritenendo non provata la capienza del residuo patrimoniale del disponente rispetto alla pretesa risarcitoria. La parte ritiene che la responsabilità risarcitoria da omesso controllo sarebbe da ascriversi all’intero collegio. Ne consegue che, il patrimonio di riferimento, di cui si assumeva l’incapienza, in relazione al preteso credito risarcitorio, non avrebbe potuto essere quello di un singolo ma di tutti i soggetti chiamati in via ipotetica a rispondere. Pertanto, la valutazione avrebbe dovuto farsi in relazione al complessivo patrimonio dei soggetti potenzialmente responsabili.
5.3. Con il terzo motivo di ricorso, parte ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto- travisamento dei fatti-art. 2901 c.c., art. 2697 c.c., art. 2727 e 2729 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nella parte in cui la sentenza ha ritenuto sussistenti i presupposti dell’azione ex art. 2901 c.c., in relazione all’elemento soggettivo.
La sentenza impugnata sarebbe errata nella parte in cui ha ritenuto sussistente l’anteriorità del preteso credito rispetto all’atto dispositivo, evidenziando che già a far data dal 2006 dai bilanci risultava un consistente credito erariale nei confronti della società fallita. La suindicata motivazione sarebbe inidonea a fondare un accertamento di anteriorità del credito risarcitorio della curatela, atteso che la responsabilità di un membro del collegio sindacale di una s.p.a. non può derivare sic et simplititer dalla situazione di indebitamento in cui versa la società.
6. Il ricorso è infondato.
Il primo motivo lo è perché è sufficiente che non si tratti di credito manifestamento pretestuoso (da ultimo Cass. 11755/18); non vi è un onere di preventiva introduzione del giudizio di accertamento del credito, come si evince dalla giurisprudenza in materia di prescrizione (Cass. 16293/16 e 1084/11); come affermato da Cass. Sez. U. n. 9440 del 2004, la ragione di credito costituisce “titolo di legittimazione” dell’azione revocatoria per cui non vi è, da parte del giudice di quest’ultima, un accertamento sia pure incidentale del credito ma un accertamento in via principale in ordine alla non manifesta pretestuosità della ragione di credito quale titolo di legittimazione all’azione.
Occorre poi rilevare, che le SS.UU. del 2004 si erano espresse in merito all’applicabilità o meno della sospensione necessaria prevista dall’art. 295 c.p.c. nel caso di pendenza di controversia avente ad oggetto l’accertamento del credito per la cui conservazione era stata proposta la domanda revocatoria.
In quella occasione, è stato enunciato il principio secondo cui il giudizio promosso con azione revocatoria non è soggetto a sospensione necessaria a norma dell’art. 295 c.p.c., annullando l’ordinanza con cui il tribunale aveva sospeso il giudizio introdotto per ottenere la dichiarazione di inefficacia dell’atto di disposizione in ragione della pendenza del processo relativo alla domanda avente ad oggetto il credito per risarcimento danni posto a fondamento della domanda revocatoria.
Pertanto, anche il credito eventuale, in veste di credito litigioso, è idoneo a determinare – sia che si tratti di un credito di fonte contrattuale oggetto di contestazione giudiziale in separato giudizio, sia che si tratti di credito risarcitorio da fatto illecito – l’insorgere della qualità di creditore che abilita all’esperimento dell’azione revocatoria, ai sensi dell’art. 2901 c.c., avverso l’atto di disposizione compiuto dal debitore.
Nell’enunciazione di siffatti principi la Corte di legittimità non mai richiesto che l’attore in revocatoria provasse di aver preventivamente introdotto il giudizio di accertamento del credito.
Ed infatti la costante giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito come ai fini dell’esperimento dell’azione revocatoria sia rilevante una nozione lata di credito, comprensiva della ragione o aspettativa, con conseguente irrilevanza della certezza del fondamento dei relativi fatti costitutivi, coerentemente con la funzione propria dell’azione, la quale non persegue scopi restitutori.
Dunque, per l’accoglimento di detta azione non è necessaria la sussistenza di un credito certo, liquido ed esigibile, bastando una semplice aspettativa che non si riveli “prima facie” pretestuosa e che possa valutarsi come probabile, anche se non definitivamente accertata (Cass., n. 20002/2008; n. 1893/12; n. 5619/2016; 23208/2016).
Pertanto, le ragioni sottese alla prima censura, del primo motivo, non appaiono fondate per quanto sopra detto, ben potendo il fallimento agire in revocatoria a tutela di un credito in relazione a cui, a tale epoca, non aveva ancora promosso un giudizio di accertamento, avendo comunque compiutamente allegato nell’atto di citazione i fatti costitutivi del credito risarcitorio asseritamente vantato.
Il secondo motivo è inammissibile poiché volto ad ottenere una rivalutazione dei fatti di causa, non consentito ad una Corte di legittimità, poiché spetta al giudice del merito valutare se l’entità del patrimonio residuo sia sufficiente ad escludere l’eventus dumni. Non c’è, infatti, un problema di onere della prova, che suppone l’esistenza di circostanza rimasta ignota, avendo il giudice di merito giudicato positivamente esistente la circostanza, nei limiti sopra indicati.
Anche il terzo motivo è inammissibile, per richiesta valutazione di merito, inerente al giudizio di fatto (il giudice di merito ha accertato l’antecedenza rispetto all’atto impugnato prendendo come riferimento l’insorgenza dell’ingentissimo debito erariale maturato quanto meno dal 2006).
7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del citato art. 13, comma 1-big.