Breve commento: La tortuosa via del patteggiamento nel reato di emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti
Corte di Cassazione, Sezione III
n. 25656/22
Come segnalato in un interessante articolo a firma di Antonio Iorio (https://ntplusfisco.ilsole24ore.com/art/patteggiamento-il-reato-fatture-false-se-si-paga-prima-debito-AEiLCSkB), sussiste contrasto giurisprudenziale all’interno della Terza Sezione della Suprema Corte, con riferimento alla applicabilità dell ‘art. 13 bis, comma II del D. Lgs 74/2000 – secondo il quale la richiesta di applicazione della pena può essere avanzata solo previa estinzione del debito tributario nel periodo antecedente alla apertura del dibattimento – in riferimento alla ipotesi trattata all’art. 8 del D.Lgs 74/2000.
Nel caso della sentenza segnalata (n. 25656/22), il Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Perugia ha infatti impugnato presso la S.C. la sentenza di patteggiamento emessa dal G.I.P. nei confronti del titolare di ditta individuale emittente false fatture (al fine, quindi, di consentire ad altro soggetto l’evasione delle II.DD. e Iva), sul motivo che non sarebbero sussistiti i presupposti per la legittima ammissibilità al rito, non essendo stato estinto il debito tributario da parte dell’imputato e, d’altro canto, “non rientrando il delitto di cui all’art. 8 all’interno delle ipotesi di non punibilità previste all’art. 13“.
La Suprema Corte, accogliendo il ricorso, ha argomentato sostenendo che proprio il testo di cui all’art. 13 bis prevede, quale condizione di accesso al patteggiamento, l’estinzione del “debito tributario” e non la “restituzione del profitto”, come avviene invece nelle ipotesi di confisca: debito che, nel caso di specie, sarebbe costituito dall’obbligatorio versamento dell’IVA previsto all’art. 21, comma VII del D.P.R. 633/1972 in tema di IVA, il quale prevede che “Se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta e’ dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.
L’insorgenza del debito, quindi, obbligherebbe il soggetto emittente alla estinzione del relativo debito nei confronti dell’erario – prima della apertura del procedimento di primo grado – al fine di poter legittimamente richiedere l’accesso al rito alternativo.
Detta pronuncia collide con altra, di poco precedente, emessa dalla stessa Sezione (n. 1582/2021), la quale aveva invece statuito che la condizione ostativa prevista al ricordato art. 13 bis non si potesse applicare alle ipotesi reato disciplinate all’art. 8 del D. Lgs 74/2000 in quanto non idoneo a determinare un debito tributario, e, soprattutto, con l’orientamento giurisprudenziale – sempre della III Sezione – (da ultimo n. 11620 del 21 ottobre 2020) che ha interpretato l’ applicabilità del ricordato art. 13 bis nel senso che «l’estinzione dei debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi, mediante integrale pagamento degli importi dovuti prima dell’apertura del dibattimento, non costituisce presupposto di legittimità dell’applicazione della pena ai sensi dell’art. 13-bis del medesimo d.lgs., in quanto l’art. 13 della stessa normativa configura tale comportamento come causa di non punibilità dei delitti previsti dagli artt. 2,3, 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, del medesimo decreto, e il patteggiamento non potrebbe certamente riguardare reati non punibili. (omissis). Sicché, in altri termini, o l’imputato provvede, entro l’apertura del dibattimento, al pagamento del debito a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, in tal modo ottenendo la declaratoria di assoluzione per non punibilità di uno dei reati di cui agli artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, ovvero non provvede ad alcun pagamento, restando in tal modo logicamente del tutto impregiudicata la possibilità di richiedere ed ottenere l’applicazione della pena per i medesimi reati».
Secondo la tesi della ricorrente Procura Generale (confermata dalla pronuncia in esame), tale principio non sarebbe applicabile nei confronti del delitto di cui all’art. 8 D Lgs. 74/2000, in quanto tale norma non rientra nella casistica contemplata e, quindi, l’accesso al rito alternativo sarebbe ad ogni modo subordinato al pagamento del dovuto.
Tuttavia tale ragionamento sembra non tenere conto del fatto che, pur in presenza di operazione oggettivamente inesistente, il soggetto emittente la fattura potrebbe avere provveduto al versamento della imposta indicata nel documento nel periodo di competenza, con conseguente inesistenza del debito verso l’erario: tale circostanza impedirebbe (ingiustamente) a tale soggetto la possibilità di accedere all’istituto del patteggiamento nonostante il generale richiamo dell’art. 13 bis comma II ai “delitti di cui al presente decreto” ivi compreso, appunto, il ricordato art. 8.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ROSI Elisabetta – Presidente
Dott. SOCCI Matteo Angelo – Consigliere
Dott. PAZIENZA Vittorio – Consigliere
Dott. SEMERARO Luca – rel. Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI PERUGIA;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 26/05/2021 del GIP TRIBUNALE di PERUGIA;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUCA SEMERARO;
lette le conclusioni del PG Dott. ORSI Luigi;
Il PG chiede l’annullamento senza rinvio con trasmissione degli atti al Tribunale di Perugia.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza ex articolo 444 c.p.p. del 26 maggio 2021 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Perugia, all’esito dell’udienza preliminare, ha applicato a (OMISSIS) la pena di 8 mesi di reclusione per il reato ex articoli 81 c.p. e 8 Decreto Legislativo n. 74 del 2000 perche’, quale titolare dell’omonima ditta individuale, con piu’ azione esecutive di un medesimo disegno criminoso, emise, al fine di consentire all’azienda agricola di (OMISSIS) l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, le fattura n. 4 del 10 settembre 2013 dell’importo di Euro 1.500,00 piu’ I.V.A. al 10% e n. 6 del 19 ottobre 2013 dell’importo di Euro 900 piu’ I.V.A. al 10% relative ad operazioni soggettivamente inesistenti.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte di appello di Perugia.
2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13-bis. Il Giudice per le indagini preliminari avrebbe errato nell’accogliere la richiesta di patteggiamento, non essendo stata soddisfatta la condizione prevista dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13-bis, comma 2, ossia l’estinzione del debito tributario con il pagamento delle sanzioni amministrative e degli interessi, che rappresenterebbe la condizione di ammissibilita’ del rito.
La condizione di ammissibilita’ del rito si applicherebbe ai fatti contestati, pur se entrata in vigore dopo la loro commissione, poiche’ e’ una norma processuale di immediata applicazione.
Inoltre, il delitto contestato concretizzerebbe non un reato di pericolo ma di evento, comportando l’evasione delle imposte.
La condizione di ammissibilita’ riguarderebbe soprattutto il reato ex Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8, poiche’ tale delitto non e’ ricompreso tra le ipotesi di non punibilita’ previste dall’articolo 13. Il divieto non potrebbe essere eluso neanche invocando la mancata quantificazione dell’imposta evasa, trattandosi di un accertamento di competenza del giudice penale.
2.2 Con il secondo motivo si deduce il vizio di violazione di legge sull’erronea applicazione dell’articolo 12-bis Decreto Legislativo n. 74 del 2000, essendo stata omessa nella sentenza impugnata la confisca obbligatoria diretta e per equivalente del profitto del reato ex articolo 8 Decreto Legislativo n. 74 del 2000 quantificabile nell’importo dell’Iva indicata nelle fatture emesse e non versata all’erario.
3. Il difensore dell’imputato ha depositato una memoria con cui si chiede di dichiarare inammissibile il ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo e’ fondato.
1.1. Secondo la giurisprudenza, in tema di reati tributari, la preclusione al patteggiamento posta dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13-bis, comma 2, per il caso di mancata estinzione del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento opera solo con riguardo ai piu’ gravi reati dichiarativi di cui agli articoli 2, 3, 4 e 5, richiamati dall’articolo 13, comma 2, dello stesso decreto, dal momento che, in tali ipotesi, l’integrale pagamento del debito effettuato prima del predetto termine, ma dopo la formale conoscenza, da parte dell’autore del reato, di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attivita’ di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, vale solo a ridurre il disvalore penale del fatto e non esclude la punibilita’, mentre non opera per i reati di omesso versamento di cui agli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater, richiamati dall’articolo 13, comma 1, Decreto Legislativo n. citato, per i quali l’estinzione del debito determina la non punibilita’ e, quindi, non puo’ valere quale condizione per accedere al patteggiamento (Sez. 3, n. 9083 del 12/01/2021, Matassini, Rv. 281709 – 01).
1.2. Il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13-bis, prevede quale condizione di ammissibilita’ del patteggiamento nei reati tributari non la “restituzione del profitto” ma il pagamento integrale dei debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie nonche’ il ravvedimento operoso.
1.3. Orbene, come rilevato anche dal Procuratore generale, l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti genera il debito tributario perche’ Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 21, comma 7, prevede che “Se il cedente o prestatore emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero se indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta e’ dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura”.
Sull’obbligo del pagamento dell’Iva ex articolo 21, comma 7, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia, si rimanda per ragioni di sintesi alla motivazione di Sez. 3, n. 11633 del 02/02/2022, Casanova, Rv. 282985.
1.4. Tale interpretazione trova conferma anche nella giurisprudenza della sezione tributaria della Corte di cassazione. Sez. 6, ordinanza n. 26983 del 2019, Agenzia delle entrate contro Samarcanda 2005 Srl, ha affermato il principio per cui costituisce attuazione dell’articolo 21, paragrafo 1, lettera c), della sesta direttiva 77/388/CEE, come modificata dalla direttiva 91/680/CEE del Consiglio, del 16 dicembre 1991 – al quale e’ subentrato l’articolo 203 della direttiva CE 2006/112 il principio per cui chiunque indichi l’IVA in una fattura o in ogni altro documento che ne fa le veci e’ debitore di tale imposta.
Secondo tale ordinanza:
“… tale soggetto e’ debitore dell’IVA indicata in una fattura indipendentemente da qualsiasi obbligo di versarla in ragione di un’operazione soggetta ad IVA (v. Corte giust. 18 giugno 2009, Stadeco, C566/07, Racc. pag. 1-5295, punto 26; Corte di giustizia 31 gennaio 2013, C-643/11, LVK-56 EOOD, punti 53-56; Corte giustizia 31 gennaio 2013, C642/11, Stroy trans EOOD, punto 44) e la stessa giurisprudenza della Corte Europea e’ ferma nel sottolineare che il diritto comunitario non impedisce agli Stati membri di ritenere la redazione di fatture fittizie che indicano indebitamente un’imposta sul valore aggiunto come un tentativo di frode fiscale e di applicare, in tal caso, le ammende o sanzioni pecuniarie previste dal loro diritto nazionale – sent. Schmeink, cit., p.62; 1.5. in sintonia con i principi sopra esposti, questa Corte ha avuto modo di affermare che l’articolo 21, comma 7 cit. va interpretato nel senso che il corrispondente tributo viene, in realta’, ad essere considerato “fuori conto”, e la relativa obbligazione, conseguentemente, “isolata” da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per cio’ stesso, dal meccanismo di compensazione (tra IVA “a valle” ed IVA “a monte”) che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’articolo 19 Decreto del Presidente della Repubblica citato; e cio’ anche perche’ l’emissione di fatture per operazioni inesistenti ha sempre costituito condotta penalmente sanzionata come delitto (cfr. Cass. nn. 12995/2014, 14337/2002, 7289/2001);
1.6. si e’ ancora ritenuto che l’emittente di fatture fittizie non puo’ giovarsi dell’emissione di una nota di credito per evitare il pagamento dell’IVA indebitamente fatturata perche’ “in tema di IVA, la speciale procedura di variazione prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 26, presuppone necessariamente, come si desume univocamente dalla considerazione della funzione perseguita dalla norma, che l’operazione per la quale sia stata emessa fattura, da rettificare perche’ venuta meno in tutto o in parte in conseguenza di uno degli specifici motivi indicati nel comma 2 della norma stessa, sia una operazione vera e reale e non gia’ del tutto inesistente. Cio’ proprio in forza dell’articolo 21, comma 7 cit. che, da un lato incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta sulla base dell’applicazione del solo principio di cartolare e, dall’altro, incide indirettamente, in combinato disposto con l’articolo 19, comma 1, e articolo 26, comma 3, dello stesso Decreto del Presidente della Repubblica n., anche sul destinatario della fattura medesima, il quale non puo’ esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta in totale carenza del suo presupposto, e cioe’ dell’acquisto (o dell’importazione) di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione” (cfr. Cass. n. 12353/2005; cfr., pure, sul versante penale, Cass. n. 33891/2006, secondo la quale ai fini dell’integrazione del delitto di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 8, non e’ richiesto che le fatture per operazioni inesistenti vengano utilizzate nelle dichiarazioni fiscali dei soggetti destinatari);
1.7. se la fattura si riferisce a un’operazione inesistente, non e’ consentita, quindi la variazione in diminuzione; conseguentemente il cedente o falso prestatore deve sempre versare l’imposta esposta in fattura, mentre l’acquirente o il committente non puo’ in alcun caso portare in detrazione l’Iva per assenza del suo presupposto, ossia l’acquisto di beni o servizi acquistati nell’esercizio d’impresa, arte o professione”.
1.5. Poiche’ l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti genera l’obbligo del pagamento dell’imposta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, ne consegue che per poter accedere al patteggiamento e’ necessario il pagamento integrale dei debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie nonche’ il ravvedimento operoso, come previsto dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13-bis, comma 2.
2. Deve, pertanto, affermarsi che la preclusione al patteggiamento posta dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13-bis, comma 2, per il caso di mancata estinzione del debito tributario prima dell’apertura del dibattimento opera anche con riferimento all’articolo 8 Decreto Legislativo n. 74 del 2000.
2.1. Poiche’ l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti genera il debito tributario, va superato il principio espresso da Sez. 3 n. 1582 del 14/12/2021, dep. 2022, Lucarelli, non massimata, che ha ritenuto che all’articolo 8 Decreto Legislativo n. 74 del 2000 non si applichi la condizione ostativa prevista dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13-bis, sul presupposto logico, prima ancora che giuridico, della condizione di accessibilita’ al patteggiamento e’ che le condotte determinino un debito tributario a carico del loro autore che questi possa assolvere, con la conseguenza che la condizione di ammissibilita’ del patteggiamento di cui alla disposizione denunciata non e’ applicabile in relazione ai reati, quali l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, che sussistono pur in assenza di un’evasione di imposta, e quello di distruzione od occultamento delle scritture contabili, la cui consumazione prescinde dall’evasione, tanto che in relazione a tali fattispecie non e’ stata ritenuta configurabile la circostanza attenuante di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13-bis, comma 1 (v. Sez. 3, n. 9883 del 04/02/2020, Carlovico, Rv. 278671).
2.2. L’accoglimento del primo motivo, assorbito il secondo, comporta l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con trasmissione degli atti al Tribunale di Perugia per l’ulteriore corso.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata e dispone trasmettersi gli atti al Tribunale di Perugia per l’ulteriore corso.