NEWS

Sul potere di determinazione equitativa dei maggiori ricavi da parte della Commissione Tributaria

Con la sentenza segnalata, la Suprema Corte ammette la possibilità di diversa determinazione dei maggiori ricavi da parte della Commissione Tributaria, in via equitativa, seppure con motivazione “rafforzata” dall’esame di altri elementi (nella fattispecie: la remunerazione del capitale investito, le caratteristiche della compagine sociale, del lavoro impiegato e della ragionevole misura della relativa retribuzione).

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 29 settembre 2020 – 10 febbraio 2021, n.3238
Presidente Tinarelli – Relatore Mele

Rilevato che

– Ortofrutticola La Pe. snc di Pe. Vi. e C. (oggi Ortofrutticoli La Pe. srl) e i soci di detta società Pe. Vi. (nato nel (omissis…)), Ma., St. e Vi. (nato nel (omissis…)) proponevano ricorso avverso avvisi di accertamento per Irpef, Irap ed Iva per l’anno di imposta 2003, traenti origine da operazioni di verifica formalizzate in un PVC, dalle quali erano emerse violazioni per ricavi non contabilizzati e per costi non di competenza, non inerenti e non documentati.
– Costituitasi per resistere al ricorso, l’Agenzia delle Entrate, l’adita Commissione Tributaria Provinciale di Napoli accoglieva in parte il ricorso, annullando gli atti impositivi relativamente ai maggiori ricavi, confermandoli per il resto.
– Proponeva appello l’Ufficio; resistevano i contribuenti.
– La Commissione Tributaria Regionale della Campania accoglieva il gravame.
– Per la cassazione della predetta sentenza parte contribuente propone ricorso, illustrato da memoria, al quale resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Considerato che

– Il ricorso consta di due motivi che recano: “1) Carenza di motivazione logica, coerente, congrua ed adeguata in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c.”; “2) Violazione e falsa applicazione degli artt. 116 comma 1 e 113 comma 1 in relazione all’art. 360 comma 4 c.p.c.”.
– I due motivi, in quanto connessi, vanno trattati congiuntamente; parte ricorrente ha dedotto -arricchendo il proprio assunto con diffuse argomentazioni esposte in memoria- la sussistenza di qualsivoglia potere equitativo nel giudizio tributario e l’omessa esposizione, da parte della CTR, di “una verificabile motivazione riguardo alle deduzioni ed alle allegazioni probatorie proposte da Ortofrutticoli in contraddittorio e innanzi richiamate, nonché riguardo ai criteri e alle ragioni che l’hanno indotta a rideterminare, in via equitativa, nella misura del 50% il maggior reddito di impresa di cui agli avvisi dell’Agenzia delle Entrate impugnati”, non risultando “l’apprezzamento degli elementi presuntivi rassegnati nella sentenza rapportato ad elementi aventi effettiva valenza probatoria”.
– Il ricorso non è fondato.
– Invero, non può darsi ingresso nel giudizio tributario all’equità tutte le volte in cui è del tutto assente la motivazione; nella specie, però, la CTR ha offerto una motivazione della decisione (in merito alla quale si rinvia alle considerazioni che saranno esposte più avanti), restando -il ricorso alla equità- limitato alla sola determinazione del quantum (precisato nel 50%). Così individuati i confini della valutazione equitativa, che, come operata dalla CTR, si sottrae alla censura della parte contribuente -alla stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale (per ultimo, la recente Cass. n. 8490 del 6.5.2020), da cui il collegio non reputa di discostarsi- si osserva che la sentenza impugnata si sottrae al vizio motivazionale denunciato da parte contribuente.
– La CTR ha preso le mosse dalla considerazione relativa all’ammontare dei ricavi dichiarati dalla società, di poco superiori ai 12 mila Euro per rilevare la esiguità di un risultato finale d’esercizio pari a Euro 37.744,00 e, dunque, a circa l’0,3% del giro d’affari e, quindi interrogarsi se un tale risultato possa ragionevolmente giustificare la gestione di un rilevante capitale di rischio, non mancando di considerare che la società è costituita da quattro soci con partecipazioni paritetiche e che a fronte della opera da essi prestata a favore della società medesima -in assenza di prova, da parte della società, della corresponsione di un ragionevole compenso- è risultato dagli accertamenti contestati ai singoli soci che i medesimi hanno dichiarato redditi per importi risibili. Sulla base delle considerazioni così riassunte, la CTR ha motivato la fondatezza della pretesa dell’Ufficio con riferimento alla regolarità solo apparente della contabilità, per via della commercializzazione, insieme al prodotto di prima scelta (uva), di prodotti di scelta inferiore tali da consentire fatturazioni ridotte o inesistenti.
– La CTR dopo avere dunque esposto le riassunte presunzioni, ha concluso per l’accoglimento dell’appello nella misura del 50% in assenza di ulteriori elementi probatori e decidendo secondo equità nei consentiti termini sopra precisati -consapevole, infatti, della insussistenza di un potere equitativo nel giudizio tributario (“….non spetterebbe al giudice tributario pervenire a conclusioni equitative”)- nella concreta determinazione del quantum debeatur, illustrata con riferimento alla remunerazione (ragionevole e presumibile) del capitale investito, della compagine sociale, del lavoro impiegato e della ragionevole misura della relativa retribuzione
– Per le ragioni esposte il ricorso va rigettato.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 7.800,00 oltre spese prenotate a debito.

Roma, 29 settembre 2020

Condividi questo post