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Irrilevanza della crisi di impresa in riferimento all’omesso pagamento IVA

Cassazione civile sez. trib., 11/06/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 11/06/2021), n.16517

Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 248/65/2014, depositata in data 16.1.2014, la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava l’appello di G4 Brescia s.r.l. avverso la sentenza n. 111/1/2011 della Commissione tributaria provinciale di Brescia che aveva respinto il ricorso proposto dalla contribuente avverso una cartella di pagamento, emessa a seguito di controllo automatizzato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 bis, della dichiarazione Unico 2009 per l’anno di imposta 2008, per omessi versamenti IVA.

La CTR, per quanto di interesse, affermava che la cartella era adeguatamente motivata e corretti i criteri di calcolo.

Avverso la sentenza della CTR, la contribuente propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso. Equitalia Nord s.p.a. non ha spiegato difese.

Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce ex art. 390 c.p.c., n. 4, la violazione e/o falsa applicazione del D. Lgs. n. 546 del 1992, artt. 56 e 57, e dell’art. 112 c.p.c., nonchè dell’art. 36, comma 2, n. 4, richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 61, anche in relazione all’art. 111 Cost.

Censura la sentenza impugnata per avere ritenuto nuove le doglianze non contenute nell’atto introduttivo relative al presunto vizio di motivazione della cartella di pagamento, all’onere della prova e alle cause di forza maggiore per il mancato pagamento nei termini, e rinunciate le eccezioni non riproposte in appello.

La censura non è fondata, sebbene debba essere corretta la motivazione della sentenza.

Dal ricorso in appello trascritto in ossequio all’obbligo di autosufficienza si evince che la contribuente aveva censurato la sentenza impugnata con riferimento al difetto di motivazione della cartella di pagamento, all’onere della prova e alla rilevanza di una causa di forza maggiore e comunque dell’assenza di colpa; le doglianze non erano, pertanto, nè nuove, nè rinunciate.

La CTR ha, in ogni caso, motivato su parte delle censure affermando che l’appellante non poteva non essere a conoscenza dei motivi dell’iscrizione a ruolo, che l’ammontare delle sanzioni era corretto, evidenziando la legittimità della motivazione formata su contenuti trasmessi dall’ente creditore con relativa causale.

La CTR ha, peraltro, affermato che nessuna norma prescrive che siano resi noti i conteggi di mora e che nell’atto era indicato chiaramente l’ente che richiedeva il pagamento.

Correttamente, invece, la CTR ha ritenuto nuova la domanda relativa al mancato invio dell’avviso bonario, proposta per la prima volta in sede di appello, come evidente dalla parte del ricorso in appello trascritto nell’atto introduttivo del presente giudizio.

Resta da esaminare la censurata violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 e art. 6, comma 5, con particolare riferimento alle condizioni di operatività della causa di non punibilità costituita dalla forza maggiore e della non colpevolezza, sulla quale la CTR ha omesso di pronunciare, limitandosi ad affermare che l’ammontare delle sanzioni era da ritenersi corretto.

Deve qui ribadirsi il principio affermato da questa Corte, in ipotesi di omessa pronuncia, per cui il corrispondente ricorso per cassazione non può essere accolto qualora la questione giuridica ad esso sottesa sia comunque da disattendere (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257; Cass. 27 dicembre 2013, n. 28663; Cass. 1 febbraio 2010, n. 2313; ma anche Cass., SU., 2 febbraio 2017, n. 2731).

Nella specie operano i principi sanciti da questa Corte, dai quali non vi è motivo di discostarsi, in materia di applicabilità della causa di non punibilità costituita dalla forza maggiore, di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5.

Con riferimento alle sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, Cass. sez. 6-5, 29/03/2018, ha chiarito che la sussistenza di una crisi aziendale non costituisce forza maggiore, ai fini dell’operatività del citato art. 6, comma 5.

Questa Corte, ancora più nel dettaglio, ha di recente ritenuto, con riguardo alla materia dell’IVA (Cass. sez. 5, 22/09/2017, n. 22153,) e con affermazione estesa anche alla materia delle accise (Cass. sez. 65, 08/02/2018, n. 3049), che il concetto di forza maggiore, richiamato dalla norma in esame debba interpretarsi in modo conforme a quello elaborato dalla giurisprudenza Eurounitaria. Quest’ultima ha chiarito che la nozione di forza maggiore, in materia tributaria e fiscale, comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi (si vedano: Corte giust., C/314/06, punto 24, nonchè Corte giust., 18 gennaio 2005, causa C-325/03 P, Zuazaga Meabe/UAMI, punto 25). Rilevano dunque non necessariamente circostanze tali da porre l’operatore nell’impossibilità assoluta di rispettare la norma tributaria bensì quelle anomale ed imprevedibili, le cui conseguenze, però, non avrebbero potuto essere evitate malgrado l’adozione di tutte le precauzioni del caso (Corte giust., 15 dicembre 1994, causa C-195/91 P, Bayer/Commissione, punto 31, nonchè Corte giust., 17 ottobre 2002, causa C-208/01, Parras Medina, punto 19) (Cass. 8177/2019).

Quanto al principio della colpa, sia per come richiamato D. Lgs. n. 472, art. 5, comma 1, primo periodo, sia per la sua immediata contrapposizione alla rilevanza della sola colpa grave per l’ipotesi di responsabilità del professionista – contemplato nel secondo periodo dello stesso comma 1 cit. -, va evidentemente inteso come comprensivo, per il contribuente, tanto della colpa lieve, quanto della colpa grave. Deve allora ritenersi che la responsabilità per violazione di obblighi tributari da parte del contribuente può escludersi solo quando sia del tutto esclusa la colpevolezza, ossia, con riguardo alla colpa, la negligenza o l’imperizia o l’inosservanza di leggi e regolamenti (e sempre facendo salve le esimenti). Fuori da tale perimetro la colpa assume sempre rilevanza (Cass. 24717/2020).

Nella specie la ricorrente aveva dedotto che aveva scelto consapevolmente di non pagare i tributi e di resistere alla crisi di mercato senza licenziare gli operai.

2. Con il secondo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, della L. n. 212 del 2000, artt. 6 e 7, anche in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., nonchè del combinato disposto del D.M. n. 321 del 1999, artt. 1 e 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Lamenta che la CTR non aveva rilevato che nella cartella di pagamento non vi era alcuna indicazione della causale degli importi pretesi nè alcun riferimento alla violazione che si intendeva sanzionare e alla norma che sarebbe stata violata.

La censura non è fondata.

Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di riscossione delle imposte, sebbene in via generale la cartella esattoriale, che non segua uno specifico atto impositivo già notificato al contribuente, ma costituisca il primo ed unico atto con il quale l’ente impositore esercita la pretesa tributaria, debba essere motivata alla stregua di un atto propriamente impositivo, tale obbligo di motivazione deve essere differenziato a seconda del contenuto prescritto per ciascuno tipo di atto, sicchè, nel caso in cui la cartella di pagamento sia stata emessa in seguito a liquidazione effettuata in base alle dichiarazioni rese dal contribuente ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis, l’obbligo di motivazione può essere assolto mediante il mero richiamo a tali dichiarazioni perchè, essendo il contribuente già a conoscenza delle medesime, non è necessario che siano indicati i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa. (Cass. 7245/2019; Cass. n. 21804/2017; Cass. n. 15564/2016, Cass. n. 25329/14 e Cass. n. 11176/2014).

Nella specie, dalla cartella di pagamento riprodotta in ossequio al principio di autosufficienza si evince che la stessa è stata formata sulla base delle dichiarazioni della società contribuente e l’imposta liquidata sui dati forniti dalla stessa società, ad eccezione di sanzioni ed interessi.

Ne consegue che l’obbligo di motivazione della cartella ben poteva essere assolto mediante il mero richiamo alle dichiarazioni, senza necessità di indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa tributaria.

Quanto, infine, al profilo motivazionale concernente il calcolo delle sanzioni e degli interessi, va osservato che, poichè il criterio di liquidazione degli interessi in materia tributaria è predeterminato ex lege (D.P.R. n. 602 del 1973, art. 20), risolvendosi il calcolo in una mera operazione matematica, è sufficiente il riferimento contenuto in cartella alle dichiarazioni da cui scaturisce il debito di imposta (con indicazione di quadro, modulo, rigo, periodo di riferimento, data degli eventuali versamenti tardivi); parimenti, anche in relazione al computo delle sanzioni adeguato è il riferimento alla norma di legge che ne prevede i criteri e/o alla tipologia della violazione da cui è possibile desumere i criteri legali di calcolo, indicati nella cartella impugnata (Cass. 6812/2019).

3. Con il terzo motivo deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, nel testo risultante del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 12, comma 1, e D.Lgs. n. 193 del 2001, ex art. 1, comma 1, lett. c), nonchè dell’art. 137 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Lamenta che la CTR non aveva rilevato la inesistenza della notifica della cartella di pagamento, mancando la relazione di notificazione tanto nell’originale che nella copia della cartella.

La censura è inammissibile.

E’ incontestato che la cartella di pagamento sia stata spedita a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, che sia pervenuta al destinatario e sia stata regolarmente opposta: tale circostanza priva di reale sostanza l’eccezione di inesistenza della notificazione.

In tema di notifica a mezzo posta della cartella esattoriale emessa per la riscossione di imposte o sanzioni amministrative, trova, infatti, applicazione il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, per il quale la notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore – come accaduto nel caso di specie – di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, nel qual caso si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto dal ricevente o dal consegnatario, senza necessità di redigere un’apposita relata di notifica, come risulta confermato per implicito dal citato art. 26, secondo il quale l’esattore è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’Amministrazione (Cass. 9429/20209.

In ogni caso questa Corte a Sezioni Unite (Cass.14916/2016) ha chiarito che “l’inesistenza della notificazione è configurabile, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità, suscettibile di sanatoria “ex tunc” per conseguimento dello scopo, attraverso la costituzione in giudizio della parte intimata, anche nel caso in cui la costituzione sia effettuata al solo fine di eccepire la nullità (Cass. 22420/2020; Cass. 27561/2018).

Il ricorso deve essere, conseguentemente, rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 7.800,00 in favore dell’Agenzia delle Entrate oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2021

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