L’ ipotesi di bancarotta “riparata”
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 febbraio – 19 maggio 2020, n. 15406
Presidente Sabeone – Relatore Calaselice
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Potenza, con la sentenza impugnata, ha confermato la condanna alle pene di giustizia, emessa dal Tribunale di Matera, in data 19 ottobre 2016, nei confronti di L.M.C. e C.V. in relazione al reato di cui all’art. 110 c.p., R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 216, comma 1, n. 1, art. 223, comma 1, art. 219, comma 1, per aver distratto il ramo di azienda esercitato dalla (omissis) s.r.l.. amministrata da L.M.C. nel locale di (…), alla ditta individuale Supermercati L. (imprenditore titolare L.C.V. ), nonché per aver dissipato, successivamente alla cessione, beni strumentali, con danno di rilevante entità, con dichiarazione di fallimento del 20 novembre 2009.
2. Avverso il descritto provvedimento hanno proposto tempestivo ricorso per cassazione gli imputati, per il tramite del difensore di fiducia, denunciando violazione della L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, e vizio di motivazione.
2.1. A L.C.V. viene contestata la bancarotta patrimoniale propria senza che questi sia mai stato dichiarato fallito e, dunque, la contestazione, nei suoi confronti, mancherebbe della condizione obiettiva di punibilità individuata nella sentenza dichiarativa di fallimento.
Sotto il profilo oggettivo, inoltre, si sottolinea che la motivazione della corte territoriale è carente posto che la condotta del L. è precedente al fallimento e non viene contestato alcun concorso esterno, nè si tiene conto che il danno patrimoniale è stato integralmente riparato. La motivazione, infatti, non considera che con sentenza del 2015 del Tribunale di Matera si era accertata la sottrazione nel periodo dal 1 gennaio 2001 al 31 giugno 2006, di Euro mille mensili. Nè si considera che L.C.V. ha estinto numerosi debiti sociali per conto della figlia M.C. , per un consistente importo economico.
2.1.1. Quanto al vizio di motivazione sotto il profilo della contraddittorietà, si valorizza la circostanza che la Corte di appello evidenzia che la distrazione ha riguardato non tanto i beni strumentali della s.r.l., indicati come di valore obiettivamente ridotto, quanto l’avviamento commerciale della s.r.l. e della forza lavoro impiegata in (…). Ciò senza tenere conto che l’avviamento, da solo considerato, non può costituire oggetto di distrazione in quanto valore astratto e mera prospettiva di costruzione di rapporti giuridici solo teoricamente immaginabili, richiamando giurisprudenza di legittimità sul punto.
Inoltre si sostiene che l’avviamento può integrare la bancarotta distrattiva solo quando riguardi l’intera azienda o un’entità di beni strumentali tale da raggiungere lo scopo produttivo cui entrambi (avviamento e ramo di azienda di beni capaci di generare risorse finanziarie) siano destinati.
Nella specie dal punto di vista soggettivo, si sottolinea che si tratta di beni ceduti inutilizzabili, tanto che saranno acquisiti alla massa fallimentare e giudicati dallo stesso curatore privi di valore economico e che necessita per il concorso dell’estraneo nel reato proprio dell’amministratore, che vi sia una condotta volontaria di apporto all’attività dell’intraneus con la consapevolezza che questa determina depauperamento del capitale sociale a danno dei creditori.
Infine si rileva che il trattamento sanzionatorio assicurato al concorrente extranueus nel reato di bancarotta non è adeguatamente motivato e che la memoria difensiva depositata al tribunale di Matera sarebbe stata del tutto trascurata
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono infondati ma va rilevata, di ufficio, l’illegalità delle pene accessorie fallimentari irrogate agli imputati, con riferimento alla loro durata.
2. Il motivo relativo alla posizione di L.C.V. è infondato.
La posizione del ricorrente è quella del concorrente extraneus, sicché appare del tutto irrilevante, ai fini del ritenuto concorso di persone nel reato di cui alla L. Fall., art. 216, che questi non sia stato dichiarato fallito.
Sul punto si osserva che la tesi difensiva è infondata. In proposito anzitutto va ricordato il consolidato insegnamento di questa Corte sull’estraneità del dissesto, in quanto elemento non qualificabile come costitutivo del reato di bancarotta patrimoniale, estraneo all’oggetto del dolo caratteristico di detto reato (ex multis Sez. Un” n. 22474 del 31 marzo 2016, Passarelli e altro, Rv. 266804). Conseguentemente non vi sono ragioni, in aderenza alle regole generali sul concorso di persone ne reato, perché a tale oggetto debba essere attribuito contenuto diverso per la posizione del concorrente estraneo, rispetto a quello che è richiesto all’amministratore della società. In tal senso è una reiterata affermazione giurisprudenziale (Sez. 5, n. 9299 del 13 gennaio 2009, Poggi Longostrevi, Rv. 243162; Sez. 5, n. 16579 del 24 marzo 2010, Fiume, Rv. 246879; Sez. 5, n. 1706/14 del 12 novembre 2013, Papalia, Rv. 258950; Sez. 5, n. 54291 del 17/05/2017, Bratomi, Rv. 271837) per la quale il dolo dell’extraneus si risolve nella consapevolezza di concorrere nella sottrazione dei beni alla funzione di garanzia delle ragioni dei creditori per scopi diversi da quelli inerenti all’attività di impresa, immediatamente percepibile dal concorrente esterno, così come dall’imprenditore con il quale lo stesso concorre, come produttivo del pericolo per l’effettività di tale garanzia nell’eventualità di una procedura concorsuaie, a prescindere dalla conoscenza della condizione di insolvenza.
Analogamente dal punto di vista della struttura oggettiva del reato di bancarotta patrimoniale, secondo i principi dettati da questa Corte di legittimità, per il delitto di bancarotta per distrazione, è centrale la configurazione della fattispecie incriminatrice come reato di pericolo concreto (Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, Palitta, Rv. 269562 Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, Sgaramella, Rv. 270763) onde risulta necessario, ai fini dell’accertamento dell’elemento oggettivo del reato, la verifica della concreta pericolosità del fatto distrattivo, valorizzando, quale “indice di fraudolenza”, la condizione patrimoniale e finanziaria dell’impresa, il contesto in cui la società operava, le cointeressenze rispetto ad altre imprese, l’accertamento in capo all’agente della consapevolezza e volontà della condotta in concreto pericolosa. Ed in tal senso la Corte di legittimità ha evidenziato, anche in riferimento all’ipotesi del concorrente extraneus, l’esigenza – che è questione diversa dalla necessità della consapevolezza del dissesto – della possibilità di percepire l’intrinseca pericolosità della condotta nella quale l’agente concorre. È poi indiscutibile che, qualora l’impresa depauperata dalla distrazione versi in stato di decozione, la consapevolezza di tale stato costituisca un indice inequivocabile del dolo del concorrente che a tale distrazione abbia prestato il proprio contributo, giacché tale consapevolezza contiene in sé (senza necessità di prova ulteriore) la rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori (il dolo dell’extraneus nel reato proprio dell’amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell’intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento dei patrimonio sociale ai danni del creditore, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società. Con la conseguenza che ogni atto distrattivo assume rilievo ai sensi della L. Fall., art. 216, in caso di fallimento, indipendentemente dalla rappresentazione di quest’ultimo: Sez. 5, n. 16579 del 24 marzo 2010, Fiume, cit.).
Quanto all’indicata riparazione del danno patrimoniale si osserva che la bancarotta cd. riparata si configura, determinando l’insussistenza dell’elemento materiale del reato, soltanto quando la sottrazione dei beni venga annullata da un’attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell’impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialita di un danno, non rilevando, invece, il momento di manifestazione del dissesto come limite di efficacia della restituzione.
Pertanto risulta irrilevante, ai fini dell’esclusione dell’elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione o dissipazione, che l’attività restitutoria o riparatoria, consistente in qualsiasi operazione idonea a reintegrare il patrimonio dell’impresa annullando ogni potenziale pericolo per le ragioni del ceto creditorio, derivante da pregresse condotte, sia posta in essere in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento, ad iniziativa del curatore (cfr. Sez. 5, 20.10.2015, n. 4790, Rv. 266025; Sez. 5, 4.11.2014, n. 52077, Rv. 261347; Sez. 5, 23.4.2013, n. 28514, Rv. 255576).
2.1. Quanto al vizio di motivazione sotto il profilo della contraddittorietà, si sottolinea che è noto che l’avviamento commerciale dell’azienda, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, non può essere distratto (Sez. 5, n. 26542 del 19 marzo 2014, Riva” Rv. 260689 e Sez. 5, n. 9813 del 8 marzo 2006, Franceschini, Rv. 234242).
È stato tuttavia affermato, in una fattispecie analoga al caso al vaglio (Sez. 5, n. 5357 del 30/11/2017, dep. 2018, Sirna, Rv. 272108; conforme anche Sez. 5, n. 3817 del 11/12/2012) che è suscettibile di distrazione l’avviamento commerciale dell’azienda se, contestualmente, sia stata oggetto di disposizione anche l’azienda medesima o, quanto meno, i fattori aziendali in grado di generare l’avviamento, con tutti i suoi elementi positivi, quali la clientela i locali, le autorizzazioni amministrative e le attrezzature,
La sostenuta inutilizzabilità dei beni ceduti, in quanto privi di valore economico, secondo il curatore, è censura in fatto, che propone una lettura alternativa a quella prospettata dalle conformi sentenze di merito e che appare, pertanto, del tutto inammissibile in sede di legittimità.
Quanto alla censura relativa al trattamento sanzionatorio e all’omesso esame di memoria difensiva depositata ai tribunale di Matera, si osserva che si tratta di deduzione generica. Inoltre la critica non si confronta con il contenuto della memoria difensiva alla quale si fa mero rinvio, senza allegazione e senza illustrare le ragioni del rilievo delle osservazioni ivi contenute, ai fini dell’auspicata diversa soluzione per gli imputati.
3.Deve, però, rilevarsi l’illegalità delle pene accessorie L. Fall., ex art. 216, u.c., applicate ex lege come effetto penale della pronuncia di condanna impugnata, a seguito dell’intervento della sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l’illegittimità della L. Fall., art. 216, u.c.. La sostituzione operata dalla sentenza citata, determina l’illegalità delle pene accessorie irrogate, in base al criterio dichiarato illegittimo.
3.1 Si impone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con obbligo, per il giudice del rinvio, di attenersi, nella rideterminazione della durata della pena accessoria non più fissa (dieci anni), ma indicata solo nel massimo (fino a dieci anni), ai criteri di cui pronuncia della Corte Costituzionale citata e da quella delle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, n. 28910 del 28/02/2019, Suraci, Rv. 276286). In relazione al quesito posto, a seguito della pronuncia del giudice delle leggi, questa Corte di legittimità, nella sua più autorevole composizione, ha invero fissato il principio, cui dovrà attenersi il giudice del rinvio, secondo il quale le pene accessorie, previste dalla L. Fall., art. 216, nel testo riformulato dalla sentenza n. 222 del 5 dicembre 2018 della Corte Costituzionale, così come e altre pene accessorie, per le quali la legge indica un termine di durata non fissa, devono essere determinate in concreto dal giudice, in base ai criteri di cui all’art. 133 c.p..
4. Discende dal ragionamento sin qui svolto, rigettati nel resto i ricorsi, l’annullamento della sentenza impugnata, limitatamente al punto della durata delle pene accessorie, L. Fall., ex art. 216, u.c.,, con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello competente.
4.1. Ai sensi dell’art. 624 c.p.p., dall’annullamento con rinvio circoscritto all’indicato punto della decisione, deriva l’autorità di cosa giudicata di tutti i restanti punti della sentenza privi di connessione con quello annullato e, quindi, quello dell’accertamento della responsabilità e della quantificazione della pena principale.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie fallimentari di cui alla L. Fall., art. 216, u.c., con rinvio per nuovo esame alla Corte di appello di Salerno. Rigetta nel resto i ricorsi.