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Il possibile concorso dei reati di accesso abusivo ad un sistema informatico e frode informatica

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 febbraio – 8 giugno 2020, n. 17360
Presidente Morelli – Relatore De Gregorio

Ritenuto in fatto

Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Milano ha parzialmente riformato la pronunzia di condanna a carico dell’imputato per i reati di accesso abusivo ad un sistema informatico e telematico e frode informatica di cui agli artt. 615 ter e 640 ter c.p., avvinti dalla continuazione, riducendo la pena inflitta ad anni 1 e mesi 1 di reclusione ed Euro 700,00 di multa.
1.Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore, deducendo, con un primo motivo, la violazione di legge in relazione all’art. 120 c.p. e ss. e artt. 336 e 337 c.p.p., in quanto la Corte territoriale avrebbe confermato la condanna nonostante la pacifica mancanza in atti della denuncia querela asseritamente sporta dalla persona offesa L. .
2. Con un secondo motivo il ricorrente lamenta il vizio di motivazione in ordine alla sussistenza dei requisiti del concorso nella commissione del reato previsto e punito dall’art. 615 ter c.p. I giudici di primo e secondo grado avrebbero, infatti, dato unicamente conto della sussistenza del reato di cui all’art. 640 ter c.p., limitandosi a desumere la responsabilità in ordine al reato di accesso abusivo dal mero riconoscimento di quella afferente al delitto di frode informatica.
3. Con un terzo motivo è stata censurata la logicità della motivazione con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati contestati all’imputato. La Corte avrebbe, infatti dedotto la consapevolezza e la volontà di quest’ultimo di apprestare il proprio contributo causale alla realizzazione di entrambi gli illeciti contestati esclusivamente sulla base della condotta posta in essere integrante il reato di cui all’art. 640 ter c.p..
All’odierna udienza il PG, Dr.ssa Picardi,ha concluso per l’inammissibilità. L’avvocato Bazzano per la parte civile si è associato alle conclusioni del Procuratore Generale, chiedendo l’inammissibilità in subordine il rigetto del ricorso con conferma delle statuizioni civili, depositando conclusioni e nota spese.
L’avvocato Pucillo per l’imputato ha insistito per l’accoglimento del ricorso.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile.
1. Il primo motivo è inammissibile, avendo omesso di relazionarsi col testo del provvedimento che ha inteso criticare. Il ricorrente, infatti, ha sollevato la questione della procedibilità dei reati nonostante la mancanza di querela, rappresentando, peraltro, una situazione processuale non corrispondente a quella ricavabile dall’esame delle stesse pronunzie di merito, che sullo specifico passaggio non sono oggetto di censura. Dalla sentenza impugnata e da quella del primo grado, infatti, si ricava che la persona offesa, L. , e l’operante della PG hanno confermato in dibattimento il dato della formalizzazione della denuncia-querela ad opera della stesso L. , come del resto esplicitamente riportato nella pronunzia del Tribunale di Monza, nella quale è stata indicata anche la data dell’avvenuta presentazione.
2. Parimenti inammissibile è il secondo motivo di ricorso, per la manifesta infondatezza in diritto della doglianza e per il mancato confronto con le congrue argomentazioni impiegate dalla Corte d’appello sul punto del concorso del giudicabile nei reati.
Per rispondere alle censure formulate nel presente motivo ed in quello successivo è utile premettere che la condotta specificamente addebitata all’imputato è di aver proceduto, in concorso con ignoto, ad aprire, con propri documenti di identità, conti correnti postali sui quali affluivano, poco dopo, somme prelevate da conti correnti o da carte poste pay di altri soggetti. Sotto il profilo di diritto si sottolinea che la più recente giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che il delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico possa concorrere con quello di frode informatica, diversi essendo i beni giuridici tutelati e le condotte sanzionate, in quanto il primo tutela il cosiddetto domicilio informatico sotto il profilo dello “ius excludendi alios”, anche in relazione alle modalità che regolano l’accesso dei soggetti eventualmente abilitati, mentre il secondo contempla e sanziona l’alterazione dei dati immagazzinati nel sistema al fine della percezione di ingiusto profitto. Sez. 2, Sentenza n. 26604 del 29/05/2019 Ud. (dep. 17/06/2019) Rv. 276427;Sez. 5, Sentenza n. 1727 del 30/09/2008 Cc. (dep. 16/01/2009) Rv. 242938.
È pacifica la possibilità per le due fattispecie di reato di concorrere tra loro ed occorre, quindi, verificare, alla luce delle attuali critiche difensive, se i Giudici del merito abbiano correttamente attribuito al ricorrente quantomeno il concorso morale nel reato di accesso abusivo di cui all’art. 615 ter c.p..
2.1 In proposito è utile ricordare la consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale per la configurabilità del concorso di persone nel reato è necessario che il concorrente abbia posto in essere un comportamento esteriore idoneo ad arrecare un contributo apprezzabile alla commissione dello stesso reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del delitto. Ex multis la recente Sez. 5, Sentenza n. 43569 del 21/06/2019 Ud. (dep. 24/10/2019) Rv. 276990.
2.2 In armonia con il suindicato principio il Tribunale e la Corte territoriale hanno ritenuto che la partecipazione a titolo di concorso da parte dell’imputato potesse desumersi dalle modalità della condotta posta in essere; infatti questi aprì senza apparente motivo – se non in ragione della poco credibile esortazione da parte di un presunto e sconosciuto avventore del bar a fronte di un piccolo guadagno – diversi conti correnti postali sui quali confluirono immediatamente dopo somme di denaro di provenienza sconosciuta, che, a loro volta, furono subito prelevate con uso di carte postali.
Se ne è ricavato logicamente l’esistenza di un accordo tra chi conosceva le credenziali di accesso dei soggetti truffati e si è inserito nel sistema di Poste italiane e l’imputato, che ha provveduto alla diversa fase della condotta, cioè all’apertura dei conti postali a suo nome ma necessariamente dovendo conoscere l’attività delittuosa realizzata dall’ignoto e concordato la realizzazione della complessiva iniziativa illecita.
Una simile attività – è stato correttamente opinato – non consente di ravvisare in capo al giudicabile solo una condotta integrante il reato di frode informatica, per il conseguimento dell’ingiusto profitto con altrui danno di cui alla fattispecie ex art. 640 ter c.p., ma integra, altresì, gli estremi di un concorso morale nel reato di accesso abusivo al sistema informatico ex art. 615 ter c.p..
2.3 Invero, anche se – a voler seguire la narrazione poco verosimile fornita dall’imputato – si volesse riconoscere che l’attività materiale dell’accesso al sistema sia ascrivibile ad un soggetto diverso, ovverosia al predetto avventore del locale, certamente la stessa non sarebbe stata realizzata, o sarebbe stata realizzata con maggiore difficoltà, senza il contributo dell’imputato, poiché lo sconosciuto – come ammesso dallo stesso R. – non essendo in possesso di alcun documento di identità, e avendo la necessità di disporre di conti su cui ricevere denaro altrui, non avrebbe potuto procedere autonomamente all’apertura dei suddetti conti postali, a tal fine avendo necessità della cooperazione dell’attuale giudicabile. In tal modo, quindi, è stata enucleata anche la condotta di partecipazione al delitto di accesso abusivo al sistema informatico, essendo stato individuato un comportamento, la disponibilità all’uso dei propri documenti di identità, idoneo a rafforzare la volontà del concorrente nella fase ideativa e preparatoria di entrambi i delitti ed un contributo in rapporto di causalità efficiente non solo nel reato di frode informatica ma anche nell’accesso abusivo al sistema; a questo, invero, il concorrente non si sarebbe indotto senza preventivamente sapere di poter contare sull’apporto dato dall’attuale giudicabile.
3. Anche il terzo motivo, sotto l’apparente veste del vizio di motivazione illogica ha, in realtà, formulato censure sul merito del ragionamento svolto dai Giudici del territorio, che, peraltro, non hanno tenuto conto delle argomentazioni esplicative redatte sul punto oggetto di critica. In particolare la difesa ha riproposto la già ipotizzata, e confutata, scissione tra i due reati in contestazione, questa volta sotto il profilo dell’elemento psicologico, che mancherebbe nel delitto ex art. 615 ter c.p..
In proposito è opportuno ricordare che il delitto in parola richiede la presenza del dolo generico, essendo reato di mera condotta, che si perfeziona con la violazione del domicilio informatico, e quindi con l’introduzione in un sistema costituito da un complesso di apparecchiature che utilizzano tecnologie informatiche, senza che sia necessario che l’intrusione sia effettuata allo scopo di insidiare la riservatezza dei legittimi utenti, nè che si verifichi una effettiva lesione alla stessa. Sez. 5, Sentenza n. 11689 del 06/02/2007 Cc. (dep. 20/03/2007) Rv. 236221.
3.1 Dalla ricostruzione dei fatti operata nelle pronunzie di merito si ricava agevolmente che, pur nell’ipotesi che l’imputato non avesse piena contezza della specificità e totalità delle attività poste in essere dal presunto concorrente, tuttavia, per le connotazioni fattuali della vicenda, necessariamente doveva essere consapevole dei comportamenti che producevano l’accredito delle somme di denaro sui conti postali a lui intestati, con ogni evidenza riconducibili all’illecito accesso al sistema telematico delle poste.
Alla luce delle considerazioni e dei principi che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ed al versamento di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Il ricorrente deve essere, altresì, condannato al pagamento delle spese sostenute nella presente fase del giudizio dalla parte civile, che sono liquidate in complessivi Euro 3015 Oltre accessori di legge.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese di difesa della parte civile che liquida in complessivi Euro 3015 oltre accessori di legge.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal solo presidente per impedimento dell’estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1, lett. a).

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