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Breve commento: Avviso di accertamento integrativo e “nuovi” elementi probatori.

Breve commento

Ordinanza n. 18175/2022 della Suprema Corte di Cassazione

 

La Suprema Corte ritorna sul tema della legittimità dell’accertamento integrativo riconoscendo importanza determinante alla sussistenza di nuovi elementi probatori posti a base del medesimo, in quanto non conosciuti al momento della verifica originaria.

Nel caso di specie, L’Agenzia delle Entrate aveva emesso nei confronti di una società immobiliare, e, per trasparenza, dei soci, avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2005 in base ad una verifica effettuata nel 2007.

Nel 2009, sulla scorta di nuovi elementi acquisiti, consistiti nelle dichiarazioni rese dagli acquirenti degli immobili venduti dalla società, l’Agenzia aveva emesso avviso di accertamento integrativo per la stessa annualità ai fini IRPEF, IRAP e IVA, avviso impugnato dai soci (nel frattempo la società era risultata estinta e cancellata) sul presupposto dell’illegittimità dello stesso in quanto gli elementi probatori acquisti nel corso della verifica del 2009, seppur non conosciuti all’atto della chiusura del primo accertamento, non potevano certo dirsi “non conoscibili” .

La sentenza di primo e quella di secondo grado hanno confermato la tesi dei contribuenti; non così è stato per quella resa dalla Suprema Corte, la quale, al contrario, ha dato prevalenza al dato letterale della norma (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3: Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l’accertamento puo’ essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle entrate. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullita’, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte), norma che fa espresso riferimento alla sopravvenuta conoscenza degli elementi probatori e non alla loro conoscibilità all’atto del primo accertamento.

In sostanza, la Suprema Corte rimane ferma nel ritenere che l’unico caso in cui può essere ravvisata l’illegittimità dell’accertamento integrativo è quello in cui lo stesso sia emesso sulla base “della semplice rivalutazione o maggiore approfondimento di dati probatori già interamente noti all’Ufficio al momento della emissione dell’avviso originario“, dovendosi dare unico rilievo alla avvenuta acquisizione o meno, a quella data, dell’elemento conoscitivo che contribuisce a fondare la nuova pretesa impositiva.

Detto approccio, a parere di chi scrive, risulta parziale in quanto non affronta in modo adeguato la problematica evidenziata dalla difesa dei contribuenti, volta a sostenere che dette dichiarazioni avrebbero potuto agevolmente essere acquisite in sede di prima verifica e, pertanto, risultavano elementi conoscibili all’atto della chiusura del primo accertamento.

Il “vulnus” del ragionamento seguito dalla Corte di Legittimità risiede, a ben vedere, nella affermazione di “nuove circostanze che, all’epoca della prima verifica, non esistevano“: il concetto di “esistenza” delle dichiarazioni rese dai terzi circa il prezzo effettivamente corrisposto va infatti rapportato non al momento della loro concreta formazione (indubbiamente successivo alla chiusura dell’accertamento) e quindi, per tale via,  della posteriore conoscenza da parte dell’organo accertatore, quanto alla riferibilità di tale elemento ad un fatto storico antecedente (l’atto di trasferimento degli immobili), rispetto al quale l’Agenzia delle Entrate ben avrebbe potuto acquisire ogni elemento correlato (dichiarazioni dei terzi).

Si tratta infatti di indagini che vengono svolte di prassi, ad esempio in tema di determinazione della imposta di Registro,  che a ben vedere consentono all’Agenzia di acquisire elementi probatori in tempi ragionevoli anche considerando l’ampio spettro di poteri di indagine ad essa riconosciuti.

Al contrario, consentire – seppur entro i limiti di decadenza dell’accertamento, stabilito al primo comma dello stesso Art. 43 – attività integrative da parte dell’Ufficio purchè motivate sulla sussistenza dei “nuovi elementi” nel senso sopra riferito, espone il contribuente al rischio di scelte difensive errate, in quanto basate sul presupposto della definitività della pretesa erariale iniziale proprio perchè formulata a seguito di attività istruttoria che si presume esauriente:  nel caso preso in esame,  l’avviso originariamente emesso è stato oggetto di adesione da parte della società (mentre l’avviso integrativo è pervenuto ai soci della medesima a seguito della sua estinzione), valutazione difensiva, questa, che avrebbe potuto essere diversa nel caso in cui l’ammontare complessivo fosse stato integramente contestato ab origine e non in via integrata.

Sarebbe quindi auspicabile, a parere di chi scrive, un nuovo intervento della Suprema Corte in merito al profilo della “conoscibilità” degli elementi probatori portati a fondamento dell’avviso integrativo, al fine di valutarne la legittimità attraverso una interpretazione estensiva del dettato di cui al ricordato art. 43, comma 3 D.P.R. 600/73.

 

Studio Legale Amatucci

 

 

Suprema Corte di Cassazione

Ordinanza n. 189175/2022

Rilevato che:

L’Agenzia delle entrate emetteva nei confronti della societa`Il Portico Costruzioni di I.P. S.a.s., nonche´, per trasparenza, dei soci I.P., G.A.M. e B.C., avvisi di accertamento con cui, in relazione a verifica operata nel 2007, determinava il maggior reddito d’impresa ai fini IVA, IRAP e IRPEF per l’anno 2005.
Successivamente l’Ufficio, in relazione ad una successiva verifica operata nel 2009, ritenuta l’emersione di nuovi elementi in relazione alle dichiarazioni rese dagli acquirenti degli immobili venduti dalla societa`, emetteva avviso di accertamento integrativo per la stessa annualita` ai fini IRPEF, IRAP e IVA.
L’impugnazione dei contribuenti era accolta dalla CTP di Ragusa.
La sentenza era confermata dalla CTR in epigrafe.
L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione con un motivo, cui resistono con controricorso I.P., in proprio e quale ex socio accomandatario della societa` , nonche´ G.A.M. e B.C., in proprio.
La societa`, come risulta dal controricorso, e` stata cancellata dal registro delle imprese.

Diritto
Considerato che:

1. Preliminarmente va dato atto che l’avvenuta cancellazione della societa` ha determinato un fenomeno di tipo successorio in capo agli ex soci, esclusa ogni spendita della rappresentanza per la societa` stessa ormai non piu` esistente (v. Sez. U n. 6072 del 12/03/2013).
2. L’unico motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4, per aver la CTR escluso la legittimita` dell’accertamento integrativo, ritenendo che sarebbe stato onere dell’Amministrazione approfondire le indagini gia` in sede di prima verifica, sicche´ i nuovi elementi, pur non conosciuti, dovevano ritenersi conoscibili.
2.1. Il motivo e` fondato.
2.2. Secondo i consolidati principi di questa Corte “l’integrazione dell’accertamento mediante l’emissione di ulteriori atti impositivi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, e` ammessa solo ove gli elementi posti a fondamento degli stessi siano nuovi, ipotesi che non ricorre in presenza di diversa, o piu` approfondita, valutazione del ‘materiale probatorio’ gia` acquisito dall’Ufficio, dovendosi ritenere che con l’emissione dell’avviso di rettifica l’amministrazione consumi il proprio potere di accertamento in relazione agli elementi posti a propria disposizione” (Cass. n. 26191 del 18/10/2018; Cass. n. 11421 del 03/06/2015).
2.3. Nella specie, l’Ufficio ha emesso il nuovo avviso alla luce delle dichiarazioni, acquisite solo nel 2010, rese da ulteriori acquirenti della societa`, sicche´ non si e` trattata – in evidenza – della rivalutazione degli elementi gia` precedentemente acquisiti ma della sopravvenienza di nuove circostanze che, all’epoca della prima verifica, non esistevano.
Giova sottolineare, quanto all’asserita insufficienza dell’originaria attività istruttoria, che il profilo non e` pertinente posto che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4, (nel testo ratione temporis applicabile) identifica il presupposto per legittimare l’accertamento integrativo nella “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi” e non la mera conoscibilità.
Giurisprudenza
E, del resto, come affermato da questa Corte, neppure rileva che gli atti fossero a conoscenza di Ufficio fiscale diverso da quello che ha emesso l’avviso (v. Cass. n. 1542 del 22/01/2018, secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, costituiscono dati la cui sopravvenuta conoscenza consente l’integrazione o la modificazione dell’avviso di accertamento, ai sensi del D.P.R. n. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, anche quelli noti ad un Ufficio fiscale, ma non ancora in possesso di quello che ha emesso l’atto al momento dell’adozione dello stesso, senza che rilevi in senso contrario ne´ il medesimo decreto, art. 33, che pone solo un dovere di reciproca collaborazione tra Uffici finanziari e Guardia di Finanza, ne´ la circostanza che sia stato effettuato un primo accertamento parziale, in quanto si tratta di uno strumento volto a favorire la sollecita emersione della materia imponibile, che non preclude, pertanto, l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice, anche ove definito con adesione”).
3. In accoglimento del ricorso, pertanto, la sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese di legittimità, alla CTR competente in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Sicilia Sez. staccata di Catania in diversa composizione.

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