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Commento: Sulla ripartizione dell’onere probatorio in riferimento ad accertamento sintetico

Breve commento alla sentenza della Cassazione civile sez. VI, 15/05/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 15/05/2020), n.9040

 

La sentenza tratta la questione relativa alla legittimità di accertamento sintetico in presenza di incrementi patrimoniali basati (in parte) su accollo di debito e alla connessa questione della ripartizione dell’onere probatorio in riferimento alle spese ad essi riferibili.

Come noto, 38 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, prevede la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva, connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento. Diventa quindi rilevante comprendere, ai fini della corretta applicazione del metodo, quale siano i presupposti che ne consentono l’utilizzo e, conseguentemente, come vada ripartito l’onere probatorio tra Amministrazione Finanziaria e Contribuente.

La prima questione, quindi, si pone in riferimento al concetto di “incremento patrimoniale” e della connessa “capacità contributiva” di cui al ricordato art. 38.

Vale considerare in proposito che, sotto il profilo fiscale, il concetto di patrimonio è considerato nella sua accezione economica vale in quanto costituito dal valore di tutti i beni che il contribuente possiede in un certo momento; conseguentemente, gli incrementi patrimoniali sono riferibili all’accrescimento del valore di tali beni.

Nel caso di specie, l’incremento patrimoniale consisteva nell’acquisto di un immobile per somma pari a 186.800,00 euro, con corresponsione, al momento del rogito, di 10.003,00 euro ed accollo dei debiti per somma pari a 176.796,52: nessun dubbio, quindi, che l’incremento patrimoniale fosse presente nell’anno di imposta considerato (2009), in quanto rappresentato dal valore economico del bene compravenduto.

Diversa questione deve essere posta in riferimento al concetto di capacità contributiva enucleabile dall’atto di acquisto e della sua effettività.

Occorre infatti distinguere il valore economico della operazione, di per sé indicativo di capacità economica e, quindi, contributiva, dalle concrete modalità di pagamento del prezzo ed in particolare della riferibilità di tale pagamento all’anno oggetto di accertamento, anche ai fini della corretta applicazione del metodo sintetico sopra rammentata.

Sul punto, la giurisprudenza della Suprema Corte appare da tempo concorde nel ritenere che, ai fini della applicazione dell’art. 32 D.P.R. 600/1973, per quanto riguarda gli incrementi patrimoniali costituiti dall’acquisto di immobili, debba essere data decisiva rilevanza all’effettivo esborso di denaro al momento della stipula della compravendita, fatto, questo, che costruirebbe un preciso indice di forza economica e di effettiva capacità contributiva.

Infatti, secondo il principio giurisprudenziale sopra riferito e che deve ritenersi consolidato, “Nella ipotesi delle spese per incrementi patrimoniali,  l’accertamento deve basarsi, quindi, sulla diretta dimostrazione (risultante, solitamente, da un atto formale) della effettiva erogazione della spesa – costituente il fatto noto, manifestazione di ricchezza – da parte del contribuente in un determinato momento o arco di tempo (uno o più anni d’imposta); e salva restando, ai sensi dell’art. 38 cit., comma 6, la prova contraria, consistente nella dimostrazione documentale della sussistenza e del possesso, da parte del contribuente, di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (con riferimento alla complessiva posizione reddituale dell’intero suo nucleo familiare, costituito dai coniugi conviventi e dai figli, soprattutto minori: Cass. n. 5365 del 2014), o, più in generale, nella prova che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. nn. 20588 del 2005, 9539 del 2013); o, ancora, che il pagamento del prezzo non è avvenuto e, quindi, l’acquisto effettuato non denota una reale disponibilità economica, poiché il contratto stipulato, in ragione della sua natura simulata, ha una causa gratuita, anziché quella onerosa apparente (Cass. n. 8665 del 2002; n. 5991 del 2006).

Al contempo, debbono essere valutate come non significative sotto il profilo della capacità di spesa tutte le forme di pagamento dilazionato, in quanto inidonee a dare luogo alla presunzione di guadagno nel periodo oggetto di accertamento, essendo al contrario presumibile che il contribuente intenda onorare tale pagamento con i redditi conseguiti nei periodi di imposta successivi a quello oggetto di accertamento.

In precedenti sentenze rese sul tema (cfr. Cass. n. 25473/2015), la Suprema Corte ha avuto modo di precisare che, al di là dell’incremento patrimoniale che può derivare da una determinata operazione o dall’indice di spesa da essa ricavabile, occorre indagare sulle concrete modalità di corresponsione delle somme: ad esempio, in caso di aumento di capitale nelle società di persone, oggetto di conferimento (…) può essere ogni contributo che sia dotato di valore economicamente apprezzabile e che possa essere utile nell’ottica dell’attuazione dell’oggetto sociale, ma in tal senso non necessariamente esso deve consistere nell’esborso diretto e immediato di danaro, ben potendo attuarsi attraverso il conferimento di servizi o l’assunzione di un obbligo, quale è ovviamente anche l’accollo dei debiti della società conferitaria verso terzi (v. art. 2295 nn. 6 e 7 cod. civ., in tema di s.n.c., applicabile anche alle s.a.s. in virtù del richiamo operato dall’art. 2315 cod. civ.) In tale ultimo caso però l’impegno del socio conferente, se certamente economicamente apprezzabile ex latere societatis quale contributo all’attuazione del programma sociale e allo svolgimento dell’attività economica, non può invece di per sé ancora considerarsi, ex latere sodi, indice univoco di ricchezza o maggior reddito soggetto a tassazione, se e fino a quando almeno non si traduca in una effettiva erogazione di spesa, così come richiesto dall’art. 38, comma 4, cit.” La pronuncia ora citata, peraltro, ha espresso il fondamentale principio secondo il quale  “il riferimento all’aumento di capitale non può bastare ad assolvere all’onere probatorio gravante sull’Amministrazione, potendo il detto aumento, in astratto, essere effettuato con modalità che non comportano un effettivo esborso di somme”, il che ci porta inevitabilmente a dover considerare il connesso – e rilevante – problema della ripartizione dell’onere probatorio in relazione alla natura delle operazioni compiute e, si ripete, sulla legittima (o illegittima utilizzazione) dell’art. 38 D.P.R, 600/73.

Occorre però segnalare che, sul tema della ripartizione di tale onere, si ravvisa un cambio di rotta dalla parte della giurisprudenza di legittimità, a cui la sentenza in commento sembra aderire.

Si segnala infatti che risultano numerose le pronunce secondo le quali il Contribuente resta onerato della dimostrazione relativa alla misura del reddito effettivamente conseguito nell’anno di imposta oggetto di accertamento, in presenza di indici di capacità contributiva: “in tema di accertamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche, l’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 prevede che gli uffici finanziari possano determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. “redditometro”, e tale metodo di accertamento dispensa l’Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su di essi e resta a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 16912 del 10/8/2016; Cass. n. 17793 del 19/7/2017; Cass. n. 27811 del 31/10/2018, Cass. n. 17534 del 28/06/2019).

Ciò equivale a dire che l’art. 38 D.P.R. 600/73 può essere utilmente applicato in tutti i casi sopra previsti, fatta salva la prova contraria da parte del contribuente in relazione alla propria effettiva capacità di spesa, rispetto alla quale deve procedersi, da parte dell’ufficio o, in seconda istanza, da parte del giudice, ad uno scrupoloso esame. Ad esempio, in tema di acquisto di bene immobile tramite erogazione di un mutuo ipotecario, la S.C. ha statuito che non sia possibile ritenere come  esclusa in radice la capacità contributiva del soggetto contraente, quanto la sua diluizione nel tempo con evidenti ripercussioni sulla imputabilità di tali redditi a diversi anni di imposta (Cass. n. 19371/2018): “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca e dimostri che tale spesa sia giustificata dall’accensione di un mutuo ultrannuale, come nella specie, il mutuo medesimo non esclude, infatti, ma diluisce la capacità contributiva; ne consegue che deve essere detratto dalla spesa accertata (ed imputata a reddito) il capitale mutuato, dovendo piuttosto ad essa sommarsi, per ogni annualità, i ratei di mutuo maturati e versati (cfr. Cass. nn. 4797/2017, 24597/2010).

Nel caso rappresentato dalla sentenza in esame (n. 9040/2020), il pagamento, come detto, è avvenuto principalmente tramite accollo del debito costituito in capo al cedente. Tale modalità di pagamento non rappresenta, per giurisprudenza costante, un modo di estinzione della relativa obbligazione e, ad ogni modo, non è da considerarsi quale indice di capacità contributiva (cfr. Cass. sez. trib. sentenza n.° 19030 del 30 aprile dep. 10 settembre 2014: “L’accollo di un debito non comporta l’ attuale erogazione di una spesa e pertanto non è da considerarsi effettiva ed attuale espressione di capacità contributiva nella prospettiva dell’art. 38 d.p.r. 600/1973. Invero espressione di capacità contributiva può solamente dedursi dai successivi singoli atti di estinzione dell’obbligazione accollata, e non già dal semplice accollo di una obbligazione che non è un modo di estinzione della stessa, ma soltanto una modificazione soggettiva del rapporto obbligatorio nel lato passivo”). 

Il contribuente, tuttavia, non era stato in grado di dimostrare le concrete modalità con le quali si era proceduto all’accollo del debito, risultando nel rogito di compravendita unicamente la circostanza secondo la quale parte del corrispettivo era stato onorato secondo tale modalità.

La S.C. sul punto, pur ribadendo che “il metodo dell’accertamento sintetico del reddito, legittimamente applicato dall’ufficio nei confronti della contribuente per i redditi 2009, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5, (…) prevede che le spese per incrementi patrimoniali, quali sono quelle sostenute dalla contribuente con l’investimento immobiliare, di cui al rogito del 5 agosto 2009, costituiscano una valida presunzione, dalla quale l’ufficio può desumere un maggior reddito della contribuente, salvo restando la prova contraria che quest’ultima può fornire, ai sensi del citato art. 38, comma 6, che il reddito presunto non esiste, ovvero che esiste in misura inferiore (cfr. Cass. n. 3316 del 2009)” , ha anche ribadito che l’inidoneità del metodo seguito dalla Agenzia a fondare valida base presuntiva  “in quanto l’accollo del debito non costituisce un modo di estinzione delle obbligazioni diverso dall’adempimento e le cambiali costituiscono una promessa di pagamento futuro di una somma di danaro, di cui il soggetto, al momento della loro emissione, non dispone“, rimproverando però al contribuente di non avere idoneamente dimostrato ” che il debito accollato non sia stato in qualche modo pagato nel corso del 2009; nè ha comunque documentato le specifiche modalità di estinzione del debito che si è accollato; se sia stato convenuto un piano di rateazione del debito in questione, ovvero se, a fronte del medesimo, sia stata concordata un’eventuale emissione di cambiali“, confermando in tale modo che l’onere probatorio ricade in capo al contribuente.

Si ha quindi una situazione per la quale, pur in presenza della inidoneità del metodo sintetico seguito da parte dell’Agenzia a fondare valida base presuntiva, il contribuente avrebbe dovuto svolgere le proprie difese attraverso allegazioni documentali relative alle modalità di effettivo pagamento del dovuto ed in particolare che l’obbligazione non fosse stata estinta proprio nell’anno relativo all’accertamento (2009).

La soluzione lascia qualche dubbio, anche in considerazione della già citata inidoneità, ab origine, del metodo seguito, a fondare valida base presuntiva circa la sussistenza di maggiori redditi in capo al contribuente: con sentenza precedente n. 14824/2017, infatti la Suprema Corte aveva statuito in tema di accertamento dei redditi con metodo sintetico del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, che pur in presenza di una presunzione di capacità contributiva “legale” ai sensi dell’art. 2728 c.c., occorre la verifica circa il fatto che “l’avviso di accertamento (non) sia carente ab origine degli elementi idonei ad integrare la presunzione”, così come avviene nel caso in cui il pagamento avvenga tramite accollo del debito e/o cambiali in quanto l’acquisto non comporta un’attuale erogazione di spesa per incrementi patrimoniali e, dunque, non costituisce effettiva ed attuale espressione di capacità economica (Cass. 4748/2017).

Diventa quindi decisiva, ai fini della legittima applicazione del metodo sintetico, la considerazione della predominanza o meno dei c.d. “indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992″ rispetto alle modalità di pagamento del prezzo dilazionato (o tramite accollo) concordate dalle parti, in base ai principi da ultimo ricordati. Ad opinione di chi scrive, sembra eccessivo gravare la parte contribuente dell’onere di dimostrare le effettive modalità di pagamento del prezzo pur in presenza di inidoneità originaria dell’avviso a fondare valida base presuntiva, in quanto in tal modo verrebbero a porsi sullo stesso piano le risultanze di un accertamento legittimamente fondato (rispetto al quale del tutto correttamente il contribuente stesso è onerato dell’onere probatorio), con quello in cui la base presuntiva non possa essere ab origine validamente costituita. Una volta statuita – così come elevato nella sentenza in esame – tale inidoneità, diventa quindi pleonastico nonché contraddittorio, sotto il profilo strettamente giuridico, stabilire a carico della parte accertata l’obbligo di dimostrare il mancato pagamento delle somme nel corso dell’anno oggetto di accertamento, anche nel caso in cui atteggiamento difensivamente prudente consigli di mettere a disposizione dell’Agenzia ogni documento rilevante per la risoluzione positiva del caso.

(Studio Legale Amatucci)

Cassazione civile sez. VI, 15/05/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 15/05/2020), n.9040
RILEVATO

 

che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione nei confronti di una sentenza della CTR della Puglia, di rigetto dell’appello da essa proposto avverso la sentenza della CTP di Bari, che aveva accolto il ricorso della contribuente F.I. avverso un avviso di accertamento sintetico emesso nei suoi confronti per maggior IRPEF 2009, D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 38, commi 4 e 5.

Diritto

CONSIDERATO

che il ricorso è affidato a tre motivi;

che la contribuente non si è costituita;

che, con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in quanto la CTR aveva omesso di pronunciarsi su alcune spese contestate alla contribuente per il 2009 e cioè su spese certe per Euro 11.693,00 e su spese per elementi certi per Euro 2.156,00; quanto poi alle spese per investimenti per Euro 217.800,00, la CTR si era limitata a ritenere giustificate spese per importo di Euro 176.796,52, per accollo di debito da parte della contribuente, omettendo di pronunciarsi sulla sussistenza del residuo reddito sinteticamente accertato, pari ad Euro 54.853,00;

che il motivo di ricorso in esame è infondato, atteso che la contribuente, sia nel primo che nel secondo grado di merito, ha contestato la determinazione sintetica dei suoi redditi fatta dall’ufficio per il 2009 solo con riferimento all’esborso fatto per l’acquisto di un immobile con rogito del 5 agosto 2009, sostenendo che, ai fini di detta determinazione sintetica, non poteva essere considerato l’intero importo da lei versato per detta operazione immobiliare (Euro 186.800,00), ma solo la minor somma di Euro 10.003,00, atteso che, del prezzo pattuito, Euro 176.796,52 erano stati da lei versati mediante accollo di debiti della parte venditrice; è pertanto evidente che le valutazioni fatte dall’ufficio circa le residue spese della contribuente, ritenute influenti sull’accertamento sintetico dei suoi redditi 2009, D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 38, non sono mai state contestate dalla contribuente nella fase di merito, con la conseguenza che, in ordine a dette residue spese, aventi una propria individualità ed autonomia, può ritenersi formato il giudicato interno (cfr., in termini, Cass. n. 24358 del 2018);

che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38,commi 4 e segg. e dei collegati decreti ministeriali del 1992, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto erroneamente la sentenza impugnata aveva ritenuto che la spesa di Euro 186.800,00, sostenuta dalla contribuente per un investimento immobiliare effettuato il 5 agosto 2009, non era valutabile dall’ufficio ai fini della determinazione sintetica del reddito 2009, in quanto occorreva sottrarre all’importo di spesa anzidetto l’accollo di debito, contestualmente assunto dalla contribuente per Euro 176.796,52, come da dichiarazione contenuta nel rogito di acquisto dell’immobile del 5 agosto 2009; secondo la CTR, detto accollo non aveva comportato un’attuale erogazione di spesa, si da non costituire un’effettiva ed attuale espressione di capacità contributiva, essendo la contribuente tenuta a dimostrare che l’anzidetto accollo del debito fosse stato da lei interamente estinto nel corso del 2009, anno al quale si riferiva la determinazione sintetica dei suoi redditi, fatta in presenza di uno scostamento superiore ad un quarto fra il reddito netto complessivo accertato alla contribuente e quello dalla medesima dichiarato, pari ad Euro 3.544,00; era quindi la contribuente che avrebbe dovuto fornire dati concreti circa l’inesistenza dei redditi presunti a suo carico ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38; e la contribuente non aveva ottemperato a detto onere, non essendo sufficiente all’uopo la mera enunciazione, fatta nell’atto di acquisto di un immobile, dell’avvenuto accollo, da parte sua, del debito di Euro 176.796,52 della parte venditrice; l’affermazione era invero inidonea a provare la sua minore capacità economico-finanziaria, in quanto non sostenuta da adeguata documentazione; la contribuente avrebbe invero dovuto provare che il debito da lei accollato non fosse stato in qualche modo pagato nel corso del 2009 e documentare comunque le specifiche modalità di estinzione, se concordata con un’eventuale emissione di cambiali, ovvero con un piano di rateazione del debito;

che, con il terzo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto erroneamente la CTR, accogliendo le argomentazione della contribuente, aveva affermato che incombeva sull’ufficio l’onere di provare la sua maggiore capacità contributiva; al contrario l’ufficio, in sede di accertamento sintetico dei redditi della contribuente D.P.R. n. 600 del 1972 ex art. 38, era tenuta solo a provare i fatti presuntivi del maggior reddito, mentre era onere della contribuente provare che il reddito presunto fosse esente, ovvero soggetto a ritenuta d’imposta, ovvero alimentato da indebitamento o da erogazione di patrimonio;

che il secondo ed il terzo motivo di ricorso, da trattare congiuntamente, siccome strettamente correlati fra di loro, sono fondati;

che, invero, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. n. 19030 del 2014; Cass. n. 15289 del 2015), il metodo dell’accertamento sintetico del reddito, legittimamente applicato dall’ufficio nei confronti della contribuente per i redditi 2009, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 5, nel testo vigente “ratione temporis” e cioè fra la L. n. 413 del 1991 ed il D.L. n. 78 del 2010, convertito nella L. n. 122 del 2010, prevede che le spese per incrementi patrimoniali, quali sono quelle sostenute dalla contribuente con l’investimento immobiliare, di cui al rogito del 5 agosto 2009, costituiscano una valida presunzione, dalla quale l’ufficio può desumere un maggior reddito della contribuente, salvo restando la prova contraria che quest’ultima può fornire, ai sensi del citato art. 38, comma 6, che il reddito presunto non esiste, ovvero che esiste in misura inferiore (cfr. Cass. n. 3316 del 2009); in tale ottica è evidente che il mero accollo di debito, come pure l’eventuale rilascio di cambiali non sono sufficienti per fondare il metodo di accertamento sintetico in esame, in quanto l’accollo del debito non costituisce un modo di estinzione delle obbligazioni diverso dall’adempimento e le cambiali costituiscono una promessa di pagamento futuro di una somma di danaro, di cui il soggetto, al momento della loro emissione, non dispone;

che, peraltro, nella specie, non appare esaustiva, ai fini del superamento della presunzione dell’ufficio, la mera affermazione, contenuta nel rogito di acquisto dell’immobile datato 5 agosto 2009, secondo cui una parte del prezzo, pari ad Euro 176.796,52, era stata pagata dalla contribuente mediante accollo di debiti della parte venditrice; trattasi invero di affermazione generica ed inidonea in sè sola a provare la minore capacità economico-finanziaria della contribuente, siccome priva di adeguati riscontri; la contribuente non ha invero provato che il debito accollato non sia stato in qualche modo pagato nel corso del 2009; nè ha comunque documentato le specifiche modalità di estinzione del debito che si è accollato; se sia stato convenuto un piano di rateazione del debito in questione, ovvero se, a fronte del medesimo, sia stata concordata un’eventuale emissione di cambiali;

che pertanto, respinto il primo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va cassata con riferimento ai restanti due motivi di ricorso riuniti, con riferimento ai quali gli atti sono rinviati alla CTR della Puglia in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

P.Q.M.La Corte, respinto il primo motivo, accoglie i restanti due motivi di ricorso riuniti, limitatamente ai quali cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Puglia in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 maggio 2020

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