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Piccolo artigiano in crisi: i debiti non giustificano il mancato contributo al mantenimento dei figli

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 6 giungo 2019 – 20 marzo 2020, n. 10422
Presidente Fidelbo – Relatore Agliastro

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Torino con sentenza del 23/01/2019 confermava la pronuncia emessa dal Tribunale di Torino in data 25/06/2015 nei confronti di Ca. Ad., imputato del reato di cui all’art. 570 comma 2 n. 2 cod. pen. e condannato alla pena di mesi due di reclusione ed Euro 220,00 di multa, con il beneficio della pena sospesa.
Al Ca. era addebitata la condotta di sottrazione agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà genitoriale facendo mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, omettendo di concorrere al loro mantenimento.
Il Tribunale per i Minorenni del Piemonte e della Valle d’Aosta aveva stabilito, con decreto in data 23/09/2008, la corresponsione di Euro 250,00 mensile in favore dei figli, oltre il pagamento delle spese scolastiche e mediche al 50%, ma l’imputato si era limitato ad effettuare due soli versamenti per i mesi di maggio e giugno 2009 per l’importo di Euro 350,00 ciascuno. La contestazione indica la commissione dei fatti dal 25/11/2006 ed in permanenza.
La madre dei minori, nella qualità di esercente la potestà nei confronti dei figli, dichiarava che il prevenuto non aveva mai versato alcunché per il mantenimento dei figli, al di là di qualche giocattolo nel corso degli incontri protetti.
L’imputato, nel corso dell’interrogatorio aveva riferito di essere rimasto disoccupato nell’anno 2007; per gli anni tra il 2008 ed il 2010 aveva riscosso uno stipendio mensile di circa 1.000,00 Euro, ma aveva dovuto fare fronte al pagamento dell’affitto e delle spese correnti, nonché a debiti di natura esattoriale e debiti contratti con la banca e con il fratello.
La Corte di appello ha ribadito che la responsabilità del prevenuto era fondata sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, corroborate dalle stesse dichiarazioni dell’imputato che ha ammesso di non avere provveduto al pagamento delle somme dovute. Lo stato di bisogno dei minori è da ritenersi in re ipsa e, se è vero che la mera condotta omissiva consistente nella mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento non è sufficiente ad integrare il delitto, bisogna puntualizzare che quando il soggetto passivo del reato sia un figlio minore lo stato di bisogno è «presunto», trattandosi di soggetto che non è in grado di procacciarsi un reddito proprio; inoltre, né lo stato di bisogno e l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli minori vengono meno qualora gli aventi diritto ricevano assistenza economica da terzi.
La Corte ha osservato che, nonostante la precarietà della situazione lavorativa attraversata dal prevenuto, negli anni compresi tra il 2007 ed il 2010 egli non si è mai trovato in condizioni di indigenza tale da impedirgli in assoluto l’adempimento dei suoi doveri di genitore, mentre non è stata dedotta alcuna situazione di oggettiva impossibilità di fare fronte agli adempimenti fissati in sede civile non avendo l’imputato offerto alcuna dimostrazione di versare in una situazione di assoluta ed incolpevole indigenza, tale da impedirgli qualsiasi versamento.
2. Ricorre per cassazione Ca. Ad. per il tramite del proprio difensore di fiducia per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen:
1) travisamento della prova in riferimento alla situazione di indigenza dell’imputato. L’imputato aveva prodotto documentazione necessaria a comprovare il proprio stato di indigenza con riferimento alle allegazioni debitorie di natura bancaria, societaria ed espositoria in generale, dimostrativa delle ristrettezze in cui versava.
La sentenza impugnata avrebbe travisato il contenuto di tali allegazioni. Invero, dalla natura dei debiti, secondo il ricorrente, si constata che riguardavano spese inerenti l’attività di piccolo artigiano all’epoca svolta e non spese personali o addebitabili a comportamento colpevole dell’imputato. E pertanto è da escludere il profilo soggettivo del reato.
L’imputato, infatti, per fare fronte ai propri improrogabili debiti e sapendo che i propri figli non erano in stato di bisogno poiché assistiti dai nonni abbienti, ha dovuto destinare le sue scarne retribuzioni mensili al pagamento rateale dei debiti contratti nel periodo in cui conviveva con la madre dei propri figli;
2) intervenuta prescrizione relativamente ai fatti precedenti il maggio 2009, prescrizione che è maturata prima del giudizio di appello. Si rileva l’intervenuta prescrizione per i fatti commessi fino ad aprile 2009, anche perché nei mesi di maggio e giugno 2009 erano stati versate le somme di Euro 350,00 e pertanto, secondo l’assunto difensivo, l’antigiuridicità della condotta era venuta meno con i versamenti indicati.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile perché propone, per un verso, censure espresse sulla base di elementi di esclusiva natura fattuale, indeducibili in sede di legittimità, avuto riguardo alla completezza e alla logicità della decisione confermativa della colpevolezza dell’imputato (fondata sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa circa il protratto mancato adempimento degli obblighi, nei confronti dei figli minori) e, per altro verso, doglianze che contrastano con la pacifica giurisprudenza di questa Corte, alla stregua della quale in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza.
Ne deriva che il reato di cui all’art. 570, comma secondo, cod. pen., sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l’altro genitore (Sez. 6, n. 53607 del 20/11/2014 – dep. 23/12/2014 -P.C in proc. S., Rv. 261871-01).
2. Sulla base di quanto evidenziato, appaiono irrilevanti le ulteriori censure, parimenti articolate in fatto, sulla circostanza che altre persone abbiano provveduto al mantenimento del minore e le allegate difficoltà economiche, che non elidono l’elemento psicologico del reato o assurgono di per sé a scriminante della condotta illecita fino a che non sia comprovato un vero e proprio stato di indigenza economica, non volontariamente cagionata, del soggetto obbligato.
3. Questa Corte osserva che, per escludere la responsabilità penale, l’obbligato deve fornire prova rigorosa della sua impossibilità ad adempiere l’onere contributivo impostogli, con riferimento al periodo in contestazione, e cioè deve versare in situazione incolpevole di assoluta indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita degli aventi diritto ed incombe sull’interessato l’onere – nel caso di specie non soddisfatto – di allegare gli elementi da cui possa desumersi tale impossibilità: la nozione di “mezzi di sussistenza” va identificata in ciò che è indispensabile alla vita del beneficiario, a prescindere dalle condizioni sociali o di vita pregressa degli aventi diritto (Sez. 6, n. 49755 del 21/11/2012, Rv. 253908; Sez. 6, n. 2736 del 13/11/2008, dep. 2009, Rv. 242855; Sez. 6, n. 27851 del 10/04/2001, n. mass.).
4. Quanto al lamentato travisamento della prova, sul quale è imperniato il primo motivo, è consentito in linea di principio, dedurre l’indicato vizio, che ricorre nei casi in cui si sostiene che il giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Nel giudizio di legittimità per travisamento di una prova decisiva acquisita al processo l’oggetto della cognizione, nei limiti della censura dedotta, consiste nell’esistenza di una palese difformità tra i risultati obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di merito ne abbia tratto (Sez. 3, n. 38431 del 01/01/2018, Ndoja, Rv. 273911-01; Sez. 3, n. 37756 del 07/07/2011, Iannazzo, Rv. 251467- 01; Sez. 4, n. 35683 del 10/07/2007, Servidei, Rv. 237652; Sez. 5, n. 30440 del 22/06/2006, Mingolla, Rv. 234603).
Nel caso di specie, tuttavia, le deduzioni sviluppate nel ricorso, più che incentrarsi su specifici travisamenti, introducono censure non consentite nel giudizio di legittimità riguardanti la valutazione del fatto e l’apprezzamento del materiale probatorio, precluso in questa sede: si lamenta infatti che i giudici di merito non abbiano adeguatamente valutato la documentazione prodotta atta a provare il proprio stato di indigenza, travisandone il contenuto, posto che il ricorrente ha dovuto affrontare esposizioni debitorie e rateizzazioni bancarie per la propria attività di artigiano, nella certezza che “i propri figli non si trovavano in stato di bisogno data l’assistenza dei nonni abbienti” (p. 2 ric.), “né il ricorrente avrebbe potuto chiedere una riduzione dell’assegno di mantenimento poiché non potendo accedere al patrocinio a spese dello Stato, non aveva i mezzi per ricorrere al giudice” (p. 4 ric.)
Per pacifica giurisprudenza di questa Corte, in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta “in re ipsa” una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza; ne deriva che il reato di cui all’art. 570, comma secondo, cod. pen., sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l’altro genitore (Sez. 6, n. 53607 del 20/11/2014, Rv. 26187101).
Per escludere la responsabilità, l’impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall’art. 570 cod. pen., deve essere assoluta e costituire una situazione di persistente, oggettiva, incolpevole indisponibilità di introiti (Sez. 6, sentenza n. 33997 del 24/06/2015, Rv 264667).
L’elemento soggettivo è integrato dal dolo generico vale a dire dalla coscienza e volontà di sottrarsi agli obblighi di assistenza inerenti alla propria qualità senza una provata giusta causa, nella consapevolezza del bisogno in cui versa il soggetto passivo.
5. Alla stregua dei principi richiamati, la pronuncia impugnata ha valutato in maniera puntuale e approfondita tutte le circostanze che erano state allegate dal ricorrente nel giudizio d’appello per comprovare che le difficoltà economiche fossero tali da non consentire l’adempimento dell’imputato ai propri obblighi di assistenza familiare.
6. Quanto al secondo motivo, appare singolare la tesi difensiva secondo cui, avendo l’imputato versato nel 2009 la somma di Euro 350.000 per i soli mesi di maggio e giugno, tale segmento di condotta consentirebbe di riconoscere l’interruzione della condotta permanente e di maturare la prescrizione per il periodo antecedente a tale corresponsione. Ed è eccentrico estrapolare un limitato arco di tempo, rispetto ad un complessivo e perdurante (per anni) periodo di inadempienza, espressivo della volontà di sottrarsi agli obblighi di legge.
Il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all’ art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., è reato permanente, che non può essere scomposto in una pluralità di reati omogenei, essendo unico ed identico il bene leso nel corso della durata dell’omissione, ne deriva che le cause di estinzione del reato operano non in relazione alle singole violazioni, ma solo al cessare della permanenza, che si verifica o con l’adempimento dell’obbligo eluso o, in difetto, con la pronuncia della sentenza di primo grado (Sez. 6, n. 45462 del 20/10/2015 Imp. D.A., Rv. 265452).
In caso di contestazione cd. “aperta”, come nella vicenda in esame (…In Torino dal 25/11/2006 e tuttora permanente), la permanenza cessa con l’integrale adempimento dell’obbligo ovvero con la data di deliberazione della sentenza di primo grado (a condizione che dal giudizio emerga espressamente che l’omissione si è protratta anche dopo l’emissione del decreto di citazione a giudizio).
La norma incriminatrice, sanzionando la condotta di colui che si sottrae all’obbligo in materia di mantenimento dei figli minori in presenza di pronunce civili che stabiliscono i relativi oneri genitoriali, non fa riferimento a singoli mancati o ritardati pagamenti, bensì a un condotta di volontaria inottemperanza con la quale il soggetto agente intende specificamente sottrarsi all’assolvimento degli obblighi imposti dalla legge e dal provvedimento del giudice civile.
Correttamente il giudice di secondo grado ha precisato che la continuità della condotta elusiva impedisce qualsiasi pronuncia di estinzione del reato per prescrizione, in adesione alla giurisprudenza espressa da questa Corte che si è sopra citata.
7. Dalla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in 2.000,00 Euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.

 

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