Commento:Sulla ignoranza colpevole del contraente in caso di operazioni soggettivamente inesistenti
La Suprema Corte interviene nuovamente in tema di tema di operazioni commerciali effettuate tramite soggetto fittiziamente interposto (e sulla ripartizione dell’onere probatorio in materia di omesso versamento IVA da parte del cedente e ripresa di costi indeducibili nei confronti del cessionario): ogniqualvolta l’A.F. riesca a provare che il soggetto interposto sia privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata, deve ritenersi assolto l’onere a proprio carico, mentre il contraente dovrà dimostrare di non essere stato a conoscenza, usando la normale diligenza, del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era non il fatturante, ma altri, in base ad elementi oggettivi.
Sulla portata di tale ultimo elemento, la S.C. richiama la risalente pronuncia n. 23560/12, a mente della quale il soggetto ricevente la fattura deve interrogarsi sulla esistenza di indizi idonei ad avvalorare il sospetto – nei termini usati dall’amministrazione – dell’evasione commessa dall’emittente delle fatture contestate o da un altro operatore intervenuta a monte nella catena di prestazioni.
Purtroppo risulta totalmente assente, nella motivazione della sentenza, una necessaria riflessione circa la differenza qualitativa e quantitativa che sussiste tra gli strumenti di controllo di cui gode l’A.F. e quelli normalmente usufruibili da parte del contribuente: tale omissione lascia completamente aperta la questione relativa alla estensione dell’ordinaria diligenza, lasciando alla discrezionalità del Giudicante un – sin troppo – ampio margine di intervento.
Vertendosi in tema di operazioni soggettivamente inesistenti e di omesso versamento IVA, non assume pertanto rilievo decisivo la circostanza che le prestazioni (nella fattispecie, vendita di veicoli) siano state effettivamente compiute, né che la contabilità del cedente sia tenuta in modo formalmente regolare.
Fatto
RILEVATO
CHE:
– l’agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, depositata 4/11/11, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso proposto da Re.Mo Sud Srl per l’annullamento dell’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2005 per Iva, Irap, Ires;
– dall’esame della sentenza di appello si evince che l’Ufficio aveva rettificato il reddito d’impresa e recuperato a tassazione costi indeducibili di carburante e costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti in relazione ad acquisti di due autovetture dalla società Dani Srl;
– il primo giudice aveva dichiarato l’indeducibilità dei costi riferite al carburante ed aveva accolto il ricorso nel resto;
– secondo il giudice di appello, pur potendo avere le contestazioni mosse con l’avviso di accertamento un possibile fondamento, si doveva tener conto della documentazione contabile esibita dal contribuente relativa all’acquisto delle autovetture, i cui costi erano riportati nelle due fatture, assoggettate ad Iva e pagate con bonifici bancari, ed il cui incasso da parte del venditore non era stato verificato o contestato;
– la circostanza che la contribuente avesse effettivamente ricevuto le due vetture era dimostrata dal fatto che erano state rivendute, nè poteva farsi carico ad essa che gli incassi non risultassero nella contabilità della società venditrice Auto Dani Srl;
– il ricorso è affidato a due motivi; la contribuente è rimasta intimata.
Diritto
– con il primo motivo di ricorso l’agenzia denuncia “violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, nonchè dell’art. 17 della direttiva 17/5/77 n. 77/388/cee, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″;
– con il secondo motivo l’agenzia deduce “violazione dell’art. 17 della Dir. Cee 388/1977 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3″;
– nei due motivi, all’evidenza sovrapponibili, afferma che il giudice di appello aveva omesso di valutare gli elementi forniti dall’ufficio in merito alla detraibilità dell’Iva, ponendo l’attenzione solo sulla regolarità della documentazione acquisita;
– tuttavia, nel corso della verifica fiscale erano emerse circostanze, trasfuse nel PVC, che rendevano evidente l’inesistenza della società, collocata nel domicilio dell’amministratore, e l’assenza di documentazione contabile, rinvenuta nell’abitazione di altro soggetto che, di fatto, ne controllava la gestione;
– il motivo è fondato;
– infatti, le valutazioni espresse dalla CTR si pongano in contrasto con l’orientamento di legittimità secondo cui “In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l’indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all’Ufficio fornire la prova che l’operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, indicando gli elementi anche indiziari sui quali si fonda la contestazione, mentre è onere del contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili, non essendo sufficiente, a tal fine, la regolarità formale delle scritture o le evidenze contabili dei pagamenti, in quanto si tratta di dati e circostanze facilmente falsificabili” (Sez. 5, Sentenza n. 428 del 14/01/2015, Rv. 634233 – 01);
– è superfluo precisare, trattandosi di principi generali in tema di prova, che la prova dell’inesistenza delle operazioni può ben consistere in presunzioni semplici, poichè la prova presuntiva non è collocata su un piano gerarchicamente subordinato rispetto alle altre fonti di prova e costituisce una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza anche in via esclusiva ai fini della formazione del proprio convincimento (Cass. n. 9108 del 2012, cit.);
– quest’ultima prova non potrà consistere, però, per quanto detto sopra, nella esibizione della fattura, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, (v. Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 20059 del 24/09/2014; Cass. n. 25778 del 05/12/2014; Cass. n. 10414 del 12/05/2011; nello stesso senso Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C-439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahageben e David, C-80/11 e C-142/11);
– in relazione al tema delle fatture per operazioni (solo) soggettivamente inesistenti, sorge, tuttavia, l’esigenza della tutela della buona fede del contribuente, anche in applicazione della giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea (cfr. sentenze 6 luglio 2006, Kittel e Recolta Recycling, C- 439/04 e C- 440/04; 21 giugno 2012, Mahageben e David, C- 80/11 e C- 142/11; 6 settembre 2012, Toth, C324/11; 6 dicembre 2012, Bonik, C- 285/11; 31 gennaio 2013, Stroy Trans, C-642/11);
– in applicazione della citata giurisprudenza, questa Corte ha avuto occasione recentemente di affermare che spetta, in primo luogo, all’amministrazione finanziaria, la quale contesti il diritto del contribuente a portare in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da soggetto diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, provare, in base ad elementi oggettivi, che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’uso dell’ordinaria diligenza, che il soggetto formalmente cedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o partecipato a una frode, e cioè che il contribuente disponeva di indizi idonei ad avvalorare un tale sospetto ed a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; ove l’amministrazione abbia assolto a tale onere probatorio, passa poi al contribuente l’onere di fornire la prova contraria (Cass. n. 23560 del 2012);
– deve, al riguardo, precisarsi che, quanto meno nella ipotesi – più semplice e comune – di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente di tipo triangolare, caratterizzata dalla interposizione di un soggetto italiano – fittizio – nell’acquisto di beni tra un soggetto comunitario (reale cedente) ed un altro soggetto italiano (reale acquirente), il detto onere probatorio dell’amministrazione ben può esaurirsi nella prova che il soggetto interposto è privo di dotazione personale e strumentale adeguata all’esecuzione della prestazione fatturata (è, cioè, una cartiera), costituendo ciò, di per sè, elemento idoneamente sintomatico della mancanza di buona fede del cessionario, poichè l’immediatezza dei rapporti tra i soggetti coinvolti nella frode induce ragionevolmente ad escludere l’ignoranza incolpevole del contribuente in merito all’avvenuto versamento dell’IVA a soggetto non legittimato alla rivalsa nè assoggettato all’obbligo del pagamento dell’imposta; con la conseguenza che, in tal caso, sarà poi il contribuente a dover provare – ipotesi poco verosimile, ma in assoluto da non potersi escludere – di non essere stato a conoscenza del fatto che il fornitore effettivo del bene o della prestazione era, non il fatturante, ma altri (da ult., Cass. n. 6229 del 2013);
– il giudice tributario di appello ha chiaramente violato il principio di diritto di cui ai richiamati arresti giurisprudenziali, ed ha reso una motivazione che non soddisfa ai requisiti sopra richiamati, in quanto, rispetto al quadro indiziario rappresentato nel PVC, dal quale emergeva che la società venditrice delle autovetture era priva di una struttura di vendita, la CTR, si è limitata a svolgere generiche considerazioni in ordine alla regolarità della documentazione contabile, un elemento cioè per quanto sopra detto non significativo, ed alla effettività delle operazioni, non contestate nella loro oggettività, laddove, invece, conformemente ai criteri legali dello schema della prova presuntiva, avrebbe dovuto esaminare se gli elementi indiziari emergenti dal PVC, singolarmente e globalmente considerati, convergevano alla dimostrazione della inesistenza soggettiva delle operazioni contestate alla contribuente.
In conclusione il ricorso deve essere accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della CTR della Campania, sezione staccata di Salerno, che provvederà a nuovo esame, emendando i vizi di legittimità riscontrati e liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.
PQM
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Commissione tributaria della Campania, sezione staccata di Salerno, che provvederà a nuovo esame, liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 12 dicembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2020