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Sulla applicabilità del patteggiamento in merito ai reati di cui all’art. 5 e 10 quater D. Lgs 74/2000, in assenza di estinzione del debito tributario

La sentenza in commento ribadisce in prima battuta l’orientamento giurisprudenziale che consente di accedere al rito alternativo, pur in assenza di estinzione del debito contratto nei confronti del fisco, in relazione alle tipologie di reato rispetto alle quali tale estinzione costituisce clausola di non punibilità.

Secondo il principio espresso dalla Corte, il pagamento del debito fiscale, in quanto diretto alla estizione del reato rendendo così non punibile la condotta del soggetto, preclude in ogni caso il ricorso al patteggiamento in quanto “l’estinzione dei debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi, mediante integrale pagamento degli importi dovuti prima dell’apertura del dibattimento, non costituisce presupposto di legittimità dell’applicazione della pena ai sensi dell’art. 13-bis del medesimo d.lgs., in quanto l’art. 13 della stessa normativa configura tale comportamento come causa di non punibilità dei delitti previsti dagli artt. 2, 3, 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, del medesimo decreto, e il patteggiamento non potrebbe certamente riguardare reati non punibili”.

In caso contrario, resta, secondo la Corte, “logicamente del tutto impregiudicata la possibilità di richiedere ed ottenere l’applicazione della pena per i medesimi reati“, in assenza di clausola di non punibilità: a differenza di altri tipi di reati fiscali, vale a dire quelli diversi da quelli di cui agli artt. 2, 3, 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, per i quali il pagamento del tributo è condizione necessaria per accedere al rito alternativo, nel caso in cui il reato rientri entro il perimetro di appicabilità delle sopra citate disposizioni, è consentito richiedere l’applicazione della pena di cui all’art. 444 c.p.p.

Attenta dottrina (Santoriello, Il Fisco 19/2021) ha però rimarcato il fatto che, seguendo il principio espresso, oltre che nelle sopra citate ipotesi, il rito alternativo potrebbe essere legittimamente richiesto anche nel caso in cui l’ipotesi di reato di cui agli artt. 2,3,4,5, D.Lgs 74/2000, che prevedono la non punibilità del contribuente se ed in quanto il pagamento del complessivo debito tributario sia avvenuto entro i termini del ravvedimento operoso o prima della formale conoscenza, da parte del medesimo, di ispezioni o verifiche, in quanto anche in questi casi si avrà l’estizione dell’illecito penale.

In secondo luogo, la Corte ribadisce l’irrilevanza della crisi di liquidità dell’imputato, in relazione all’omesso versamento di ritenute, rilegandosi i casi di non punibilità alla sola esistenza di causa di forza maggiore, intesa sotto il profilo della imprevedibilità dell’evento determinativo della predetta crisi. Secondo la Corte: “a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore, che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.”.

Si conferma così l’orientamento, forse eccessivamente rigoristico, che ha sinora connotato il cammino della giurisprudenza di legittimità sul tema.

 

Cass. Penale Sent. Sez. 3 Num. 11620 Anno 2021

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da Da Prato Fiorella, nata a Camaiore il 08/11/1948 avverso la sentenza del 04/10/2019 della Corte di Appello di Firenze visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Claudio Cerroni; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Luigi Cuomo, che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso
udito per la ricorrente l’avv. Simone Leo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e la dichiarazione di prescrizione dei reati

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 4 ottobre 2019 la Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza del 19 giugno 2017 del Tribunale di Lucca, in forza della quale Fiorella Da Prato, nella qualità di legale rappresentante della s.p.a. ICES, era stata condannata alla pena, sospesa, di anni uno di reclusione per il reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in relazione all’imposta dovuta per l’anno 2011 e pari ad euro 530.990.
2. Avverso la predetta decisione è stato proposto ricorso per cassazione articolato su tre motivi di impugnazione.
2.1. Col primo motivo la ricorrente, quanto alla violazione di legge relativa alla norma di cui all’art. 444 cod. proc. pen., ha rilevato che a suo tempo la richiesta di applicazione di pena fu rigettata in considerazione del fatto che la società, di cui l’imputata era legale rappresentante, era stata dichiarata fallita, e che pertanto non vi era possibilità di pagare il debito tributario a norma dell’art. 13-bis, comma 2 d.lgs. 74.
Né convinceva la motivazione della Corte territoriale, secondo cui nulla impediva all’imputata di pagare il debito tributario, atteso che il fallimento aveva riguardato la società e non il legale rappresentante, soggetto in bonis. Infatti non poteva sussistere una norma in forza della quale l’incisione sulla libertà personale era condizionata all’accollo di un debito del terzo, trattandosi di
soggetti ovviamente distinti. Una differente lettura avrebbe comportato la necessità di sollevare questione di costituzionalità, nella parte in cui condizionava il rito al pagamento di un debito di altro soggetto.
2.2. Col secondo motivo la ricorrente ha lamentato l’erronea applicazione della norma incriminatrice in relazione alla presenza di crediti verso la P.A. superiori rispetto all’entità del debito Iva. L’impossibilità di procedere alla compensazione delle rispettive partite avrebbe condotto alla condanna, costituzionalmente non giustificabile, di chi era creditore nei confronti dello Stato per importi superiori al debito dello stesso cittadino nei riguardi dello Stato.
Ferma l’ovvia diversità dei soggetti dei rapporti di credito e di debito, non doveva ritenersi comunque ammissibile che lo Stato, nelle sue articolazioni, potesse procedere in tal modo.
2.3. Col terzo motivo infine la ricorrente ha ricordato che la società, trovatasi in difficoltà finanziaria, operò la scelta di privilegiare i profili occupazionali dei propri dipendenti rispetto all’adempimento tributario. Né poteva dubitarsi della legittimità del comportamento assunto, atteso che la scelta di privilegiare il lavoro in luogo dei tributi non poteva essere sanzionata penalmente.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’inammissibilità del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Il ricorso, inammissibile nel resto, è fondato nei limiti di seguito indicati.
4.1. In relazione infatti al primo motivo di censura, è stato anche recentemente osservato da questa Corte che, in relazione ad es. al delitto di omessa dichiarazione e di indebita compensazione, rispettivamente previsti dagli artt. 5 e 10-quater del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, l’estinzione dei debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e gli interessi, mediante integrale pagamento degli importi dovuti prima dell’apertura del dibattimento, non costituisce presupposto di legittimità dell’applicazione della pena ai sensi dell’art. 13-bis del medesimo d.lgs., in quanto l’art. 13 della stessa normativa configura tale comportamento come causa di non punibilità dei delitti previsti dagli artt. 2, 3, 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, del medesimo decreto, e il patteggiamento non potrebbe certamente riguardare reati non punibili (è stato altresì precisato che l’art. 13-bis d.lgs. n. 74 del 2000, disciplinando la predetta condizione per accedere al rito speciale, fa espressamente salve le ipotesi di non punibilità previste dal citato art. 13 del medesimo d.lgs.)(Sez. 3, n. 48029 del 22/10/2019, Vitali, Rv. 277466).

Infatti, proprio in relazione al delitto di omesso versamento dell’Iva, l’estinzione dei debiti tributari mediante integrale pagamento, da effettuarsi prima dell’apertura del dibattimento, non costituisce
presupposto di legittimità del patteggiamento ai sensi dell’art. 13-bis del d.lgs. n. 74 del 2000, in quanto l’art. 13, comma 1 configura detto comportamento come causa di non punibilità dei delitti previsti dagli articoli 10-bis, 10-ter e 10-quater del medesimo decreto, e il patteggiamento non potrebbe certamente riguardare reati non punibili (Sez. 3, n. 38684 del 12/04/2018, Incerti, Rv. 273607).
Ciò posto, il pagamento del debito tributario, da effettuarsi entro la dichiarazione di apertura del dibattimento (ovvero entro lo stesso termine ultimo previsto per richiedere il rito speciale) – rappresentando, in via radicale e pregiudiziale, causa di non punibilità dei reati ex artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, ed anche dei reati ex art. 4 e 5 stesso decreto – non può logicamente, allo stesso
tempo e per queste stesse ipotesi, fungere anche da presupposto di legittimità di applicazione della pena che, fisiologicamente, non potrebbe certo riguardare reati non punibili. Sicché, in altri termini, o  l’imputato provvede, entro l’apertura del dibattimento, al pagamento del debito a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, in tal modo ottenendo la declaratoria di assoluzione per non punibilità di uno dei reati di cui agli artt. 4, 5, 10-bis, 10-ter e 10-quater, ovvero non provvede ad alcun pagamento, restando in tal modo logicamente del tutto impregiudicata la possibilità di richiedere ed ottenere l’applicazione della pena per i medesimi reati (per tutte, appunto, Sez. 3, n. 38684 cit.).
4.2. In relazione al secondo motivo di ricorso, l’impugnazione si presenta manifestamente infondata – quantomeno per irrilevanza – già alla stregua dei rilievi, non specificamente contestati, della Corte territoriale quanto all’assenza di crediti della società nei confronti dello Stato e quindi dell’Agenzia delle Entrate, nonché circa l’impossibilità di precisa verifica quanto alla sussistenza di altri eventuali crediti nei riguardi di altre e distinte Pubbliche amministrazioni.
Tant’è che il motivo di censura si è risolto in una generica doglianza insanabilmente astratta, quanto all’ingiustizia sostanziale della posizione di un imprenditore debitore, ma anche contestualmente creditore, nei riguardi dello Stato nelle sue diverse articolazioni, ivi compresi gli enti locali.
4.3. Per quanto concerne il terzo motivo di doglianza, è stato più volte ribadito che, in tema di reati tributari, nel reato di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 è richiesto il dolo generico, integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, a nulla rilevando i motivi della scelta dell’agente di non versare il tributo (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263127), laddove l’elemento soggettivo del dolo generico doveva estendersi anche alla consapevolezza del superamento della soglia di punibilità (cfr. Sez. 3, n. 3098 del 05/11/2015, dep. 2016, Vanni, Rv. 265939).
In tal senso l’omesso versamento dell’Iva non può essere giustificato, ai sensi dell’art. 51 cod. pen., dal pagamento degli stipendi dei lavoratori dipendenti, posto che l’ordine di preferenza in tema di crediti prededucibili, che impone l’adempimento prioritario dei crediti da lavoro dipendente (art. 2777 cod. civ.) rispetto ai crediti erariali (art. 2778 cod. civ.), vige nel solo ambito delle procedure esecutive e fallimentari, e non può essere richiamato in contesti diversi, ove non opera il principio della par condicio creditorum, al fine di escludere l’elemento soggettivo del reato (Sez. 3, n. 52971 del 06/07/2018, Moffa, Rv. 274319, già cit. dalla Corte territoriale).
In definitiva, quindi, la colpevolezza del contribuente non è esclusa dalla crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo e, nel caso in cui l’omesso versamento dipenda dal mancato incasso dell’Iva per altrui inadempimento, non siano provati i motivi che hanno determinato l’emissione della fattura antecedentemente alla ricezione del corrispettivo (Sez. 3, n. 23796 del 21/03/2019, Minardi, Rv.275967). Con la precisazione che l’inadempimento dell’obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore, che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico (così escludendo che possa essere ascrivibile a forza maggiore la mancanza della provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria per effetto di una scelta di politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità)(Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128).r
4.3.1. Perdono pertanto consistenza i profili di censura azionati.
Da un lato, infatti, è pacifico che siano state operate scelte diverse, magari anche teoricamente tese al rilancio ovvero alla conservazione aziendali, rispetto a quella di adempiere al debito fiscale, per cui non può affermarsi che sia venuta meno la piena consapevolezza di violare il precetto omettendo il pagamento dovuto.
Ai fini infatti della sussistenza del reato non è richiesto il fine di evasione, tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volontà di violare il precetto, il dolo del reato in questione essendo integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento anti-doveroso di volontario contrasto con il
precetto violato.
D’altro canto, quanto al preteso dubbio circa la sussistenza di una “forza maggiore” impeditiva di differenti determinazioni, essa si configura come un evento, naturalistico o umano, che fuoriesce dalla sfera di dominio dell’agente e che è tale da determinarlo incoercibilmente (vis ma/or cui resisti non potest) verso la realizzazione di una determinata condotta, attiva od omissiva, la quale, conseguentemente, non può essergli giuridicamente attribuita (in questa direzione Sez. 5, n. 23026 del 03/04/2017, Mastrolia, Rv. 270145).
4.3.2. In particolare, occorre la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, tra l’altro in presenza di un’improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad allo
stesso non imputabili.
In altre parole, la forza maggiore sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica è dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilità dell’agente di uniformarsi al comando, e non può quindi ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente.
In tal modo è stato sempre escluso, quando la specifica questione è stata posta, che le difficoltà economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez. 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).
Nei reati omissivi integra così la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilità, non la semplice difficoltà di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856). Sì che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perché non esclude la suitas della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non può pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidità; c) non si può invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dai mancati accantonamenti e dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimità; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore, che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico.
4.3.3. Il provvedimento impugnato ha così invece evocato la realizzazione di altre scelte imprenditoriali, laddove le vicissitudini lamentate appaiono legate all’ineludibile rischio d’impresa (cfr. Sez. 3, n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190; cfr. altresì, ad es., Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, dep. 2015, Schirosi, Rv. 263128).
5. Il secondo e il terzo motivo di impugnazione sono pertanto manifestamente infondati, con la conseguente inammissibilità in parte qua del ricorso. Non vi è infine questione di intervenuta prescrizione, siccome meramente sollecitato all’udienza di discussione, atteso che da un lato la difesa del ricorrente non ha allegato gli elementi concreti tramite i quali operare i dovuti conteggi e i successivi controlli, e che dall’altro in ogni caso erano altresì intervenute ulteriori sospensioni del decorso del medesimo termine prescrizionale.
5.1. Alla stregua delle ragioni che precedono, la sentenza impugnata va invece annullata – con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze – limitatamente al trattamento sanzionatorio atteso l’accoglimento del primo motivo di ricorso, data la non corretta valutazione di inammissibilità della richiesta di patteggiamento.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma il 21/10/2020

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