La Cassazione conferma la natura di impugnazione-merito del giudizio tributario
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 12 dicembre 2019 – 6 aprile 2020, n. 7695
Presidente Manzon – Relatore Novik
Rilevato che:
– Albergo Aurora s.a.s. di Va. G. & c., nonché i soci Va. Gi., Va. Da. e Va. Ma., e l’Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Liguria, depositata il 9 maggio 2012, con cui, in accoglimento parziale dell’appello dei medesimi proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva a sua volta accolto parzialmente il ricorso da essi proposto per l’annullamento dell’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2006 per Iva, Irpef e Irap, sono stati determinati in Euro 84.000 i maggiori ricavi accertati in capo alla società; Irap e Iva di conseguenza;
– dall’esame della sentenza di appello si evince che l’Ufficio aveva rettificato i corrispettivi dichiarati per l’attività di albergo e ristorante/pizzeria da Euro 467.110 a Euro 596.650, e il reddito di impresa rettificato da perdita pari a Euro 21.483 a un utile di Euro 108.072, in relazione a – discordanze tra fatture emesse, scontrini e ricevute fiscali e i Pos incassati; – discordanze tra i cartoni contenitori pizza di asporto e le pizze indicate delle ricevute degli scontrini; – ricevute fiscali nelle quali risultavano indicate quantità ricoperti molto superiore rispetto ai piatti indicati; – la società, inoltre, aveva sempre redatto bilanci in perdita e ugualmente in perdita veniva dichiarato il reddito a fini fiscali;
– il giudice di primo grado aveva ridotto del 30% i ricavi accertati; la sentenza era stata impugnata dai contribuenti e, con ricorso incidentale, dall’agenzia;
– la CTR riteneva: – non dirimente la mancata concordanza tra Pos e ricevute fiscali; -che gli elementi forniti dall’ufficio rendevano comunque inattendibili i ricavi ed il reddito dichiarato; – che le giustificazioni dei contribuenti non erano sufficienti a superare la presunzione di evasione;
– in conseguenza riteneva di determinare i ricavi omessi “nella misura riferibile al compenso minimo di sostentamento per ciascuno dei soci che operano in azienda: Euro 42.000 x 2 uguale Euro 84.000 (costo medio di un dipendente del settore Euro 30.000 maggiorato del rischio d’impresa 40%);
– entrambi i ricorsi sono affidati a un motivo;
Considerato che:
– preliminarmente si rileva che il ricorso dei contribuenti è stato notificato a mezzo ufficiale giudiziario all’Agenzia delle entrate, direzione provinciale di Genova, in data 17/12/12; quello dell’Avvocatura generale dello Stato è stato consegnato per la notifica all’UNEP della Corte di appello di Roma il 18/12/12;
– pertanto, il principio dell’unicità del processo d’impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione (nella specie quella di Albergo Aurora), tutte le altre devono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, con la conseguenza che ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale (Sez. 5, Sentenza n. 16221 del 2014).
– Con il proprio motivo, i contribuenti deducono la nullità della sentenza per violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed e il pronunciato, ai sensi dell’articolo 360, comma primo, n. 4 c.p.c. per essersi il giudice di appello sostituito all’ufficio tributario e formulato un suo proprio accertamento di presunta evasione fondato su criteri inediti e non razionali;
– l’Agenzia delle entrate, a sua volta, deduce violazione e/o falsa applicazione dell’art. 41 bis del D.P.R. n. 600/73, dell’art. 54 del D.P.R. 633/72, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 115 c.p.c. ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 c.p.c. per aver la CTR, nella determinazione del reddito d’impresa, adottato un criterio di accertamento in violazione delle norme sopra richiamate e non in base agli elementi probatori forniti dall’ufficio, che aveva evidenziato l’assenza totale di utili di gestione nel triennio 2004/2006, pur a fronte di un volume di affari in crescita;
– il motivo formulato dai contribuenti in termini di omessa pronuncia è inammissibile in quanto l’eventuale violazione – da parte del giudice del merito – dei limiti posti dall’art. 112 c.p.c. non determina nullità assoluta della sentenza, ma può integrare i vizi di motivazione o di violazione di legge, denunciabili come tali ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 o 5 c.p.c;
– la doglianza dell’Agenzia è infondata;
– il giudizio tributario non si connota come un giudizio di “impugnazione- annullamento”, bensì come un giudizio di “impugnazione-merito”, in quanto non è finalizzato soltanto ad eliminare l’atto impugnato, ma è diretto alla pronuncia di una decisione di merito sul rapporto tributario, sostitutiva dell’accertamento dell’Amministrazione finanziaria, previa quantificazione della pretesa erariale, peraltro entro i limiti posti da un lato, dalle ragioni di fatto e di diritto esposte nell’atto impositivo impugnato e, dall’altro lato, sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell’accertamento dell’ufficio;
– discende che ove il giudice tributario ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi non formali, ma di carattere sostanziale, riconosciuta l’incongruenza dell’accertamento dell’Ufficio, ha il dovere di decidere sul merito ed accertare la maggiore imposta dovuta;
– la CTR ha adempiuto a questo obbligo in quanto, valutata la incongruità dei ricavi e dei redditi dichiarati, sulla base degli elementi acquisiti dall’ufficio, ritenuti sufficienti a supportare l’evasione addebitata (acquisto di cartoni contenitori per pizza di asporto in “misura eclatante e molto superiore rispetto alle pizze fatturate”; indicazione di coperti molto superiore rispetto ai piatti consumati; impossibilità di sostentamento dei soci in presenza di perdite consistenti e ricorrenti), senza invertire i criteri dell’onere probatorio, ha svolto un ragionamento, non di equità, ma di merito, utilizzando parametri fondati sulla concreta situazione aziendale;
– la reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi; spese compensate.