NEWS

La rilevanza penale della liquidazione dei compensi da amministratore in caso di delibera assembleare pro-forma e di insolvenza della società

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 novembre 2020 – 26 gennaio 2021, n. 3191
Presidente Palla – Relatore Miccoli

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 29 ottobre 2019, la Corte di Appello di Firenze ha – per quanto qui di interesse- parzialmente riformato la pronunzia di primo grado con la quale era stata affermata la penale responsabilità di T.S. per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione (capo 1), per ricorso abusivo al credito (capo 3) e per il reato di insolvenza fraudolenta (capo 4).
La Corte territoriale ha riconosciuto le attenuanti generiche e ha ridotto la pena inflitta. Ha inoltre rideterminato la misura delle pene accessorie di cui alla L. Fall., art. 216, u.c..
I reati sono stati ascritti al T. nella sua qualità di socio al 95 % e amministratore della società Italiana Trading s.r.l., dichiarata fallita con sentenza del 17 ottobre 2012.
2. Avverso la citata pronunzia propone ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato T. , denunziando violazione di legge e vizi motivazionali.
2.1. Con il primo motivo si censura la sentenza in relazione alla conferma dell’affermazione di responsabilità per la bancarotta per distrazione, contestata in relazione alla somma di Euro 120.470 attribuita al T. a titolo di compenso per la carica di amministratore, in virtù di delibera emessa in data 26 maggio 2012, quando la società già versava in stato di insolvenza.
Evidenzia il ricorrente che la sentenza, nell’affermare che l’insolvenza deve ritenersi manifesta solo a far tempo dall’anno 2012, considera la delibera assembleare avente ad oggetto il compenso all’amministratore solo come un pro-forma, comprovato dalla mancata verbalizzazione del dibattito in essa indicato. Si tratta – secondo il ricorrente – di una valutazione in contrasto con il dettato normativo, posto che l’art. 2375 c.c., nel disciplinare i requisiti di validità dell’assemblea, formula un elenco di questi ultimi, requisiti che nel verbale in oggetto sono tutti presenti.
Deduce altresì il ricorrente che la veridicità di tale assunto è confermata dal fatto che neppure gli organi fallimentari avevano ritenuto di utilizzare il rimedio previsto dall’art. 2379 c.c., che prevede l’impugnabilità entro tre anni del verbale.
Quanto alla congruità della somma stabilita per il compenso, la Corte territoriale ha ritenuto indimostrato il lavoro svolto dal T. , sostenendo – in modo totalmente apodittico – che non bastasse a provarlo l’entità del fatturato in costante e notevole ascesa dal 2009 al 2011. Deduce però il ricorrente che tale dato era ben noto ai soci dell’assemblea che deliberò il compenso all’amministratore e non è discutibile, posto che si tratta di un “fatto matematico” e che il compenso nella misura di Euro 200.000, come deliberato dalla assemblea, era pari all’1,7% del fatturato dell’anno 2011.
La Corte territoriale avrebbe errato nel pretendere una dimostrazione di orari di lavoro o il dettaglio dell’attività svolta.
In aggiunta a ciò la Corte territoriale avrebbe completamente omesso di valutare la circostanza che il compenso percepito nell’anno 2012, pari a 120.000 Euro, era inferiore del 50% a quello percepito negli anni precedenti.
Sostiene infine il ricorrente che se il fatto va riqualificato come bancarotta preferenziale, sarebbe necessaria una valutazione preventiva dei crediti di rango superiore o equiordinato al rango dei compensi, seguendo le regole civilistiche sull’ordine dei privilegi.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la motivazione della sentenza in relazione alla imputazione di ricorso abusivo al credito.
La Corte territoriale non ha considerato che la banca aveva titoli di proprietà esclusiva del T. per un valore di Euro 125.000,00 e che dal maggio 2011 all’agosto 2012 l’istituto di credito aveva ricevuto la somma di Euro 173.916,00. Non sarebbe quindi provato l’abusivo ricorso al credito, posto che le fatture si anticipavano sulla base di una decisione deliberata nell’anno 2011, il mutuo chirografario in un anno si era ridotto da 250.000,00 a circa 90.000,00 Euro ed il mutuo da 60.000,00 appariva conveniente anche per l’istituto di credito, che non svincolava e tratteneva i 40.000,00 Euro di pegni già liberi.
2.3. Con il terzo ed ultimo motivo il ricorrente censura la motivazione della sentenza relativa al reato di cui all’art. 641 c.p..
La Corte territoriale ha ricondotto la nascita del rapporto contrattuale al gennaio 2012 (quindi per mera logica le trattative sono state svolte alla fine dell’anno 2011), non tenendo in considerazione, nonostante il dato appaia documentalmente provato, che l’azienda nel periodo gennaio – agosto 2012 aveva avuto un fatturato pari ad Euro 6.099.807,22., assolutamente in linea con quello degli anni precedenti.
Inoltre la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto del fatto che v’era il chiaro interesse della Tecnofoodpack di lavorare di più e, quindi, che non era stato il T. a costruire il rapporto secondo i suoi disegni.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, nella persona della Dott. Antonietta Picardi, ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Si legge nella requisitoria: “… Con un unico ricorso la difesa impugna la sentenza di seconde cure affermando che sia per quanto riguarda il capo A) (in realtà capo 1) che per quanto riguarda il capo B) (in realtà capo 2) la sentenza abbia fatto erronea applicazione delle norme di legge e operato una motivazione contraddittoria. Si tratta di una doppia conforme e la difesa prova ad assumere l’erroneità della sentenza attraverso un’indebita (in questa sede), ri-lettura del dato probatorio. Prova ad avanzare la tesi della del verbale di assemblea (non impugnato) e da esso ne fa conseguire tutta una serie di condotte a sue dire lecite.
In realtà sembra non confrontarsi con la ricostruzione di fatti operata dalla sentenza e ripropone la sua versione dei fatti.
2. Con il terzo motivo di ricorso la difesa assume che erroneamente l’imputato sia stato condannato anche per il reato di cui all’arte. 641 c.p. in quanto non provato (anzi è provato il contrarlo) che il comportamento fosse preordinato al futuro inadempimento. Invero, la Corte ha specificato che l’inadempimento fosse in re ipsa in quanto dall’audizione del teste, funzionario di banca, era emerso che egli si era ben guardato di avvisare la banca dello stato di dissesto e dell’imminente fallimento evidenziando anche come l’esistenza di titoli in pegno fosse del tutto irrilevante in quanto ha ricevuto un credito in maniera abusiva, avendo ricevuto con consapevolezza importi superiori rispetto a quelli che avrebbero potuti essere svincolati dal pegno per un’eventuale copertura del debito.
Nessuna errata interpretazione della norma, dunque, ma solo valutazione della prova.
Si deve ritenere, pertanto, il ricorso inammissibile”.
4. In data 2 novembre 2020 è stata depositata una memoria difensiva a firma del difensore della parte civile Tecnofoodpack spa, con la quale si chiede la conferma della sentenza impugnata, ivi compreso le statuizioni civili.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile, perché le censure proposte oltre ad essere manifestamente infondate, risultano versate in fatto e generiche, in quanto non si confrontano con le argomentazioni della sentenza impugnata.
2. Con il primo motivo si censura la sentenza in relazione alla conferma dell’affermazione di responsabilità per la bancarotta per distrazione, contestata in relazione alla somma di Euro 120.470 attribuita al T. a titolo di compenso per la carica di amministratore, in virtù di delibera emessa in data 26 maggio 2012, quando la società già versava in stato di insolvenza. I giudici di merito hanno ritenuto che la suddetta delibera sia stata solo una “pezza d’appoggio”, nel tentativo di giustificare l’esborso in favore del T. a titolo di compensi, non supportati da documentazione utile a comprovare quantità e qualità del lavoro svolto.
Si tratta di valutazioni di merito, congruamente e logicamente motivate, a fronte delle quali le deduzioni difensive mirano a una rivalutazione dei fatti e delle prove non consentita in sede di legittimità.
Questa Corte ha già avuto modo di affermare che integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come retribuzione, se tali compensi sono solo genericamente indicati nello statuto e non vi sia stata determinazione di essi con delibera assembleare, perché, in tal caso, il credito è da considerarsi illiquido, in quanto, sebbene certo nell’”an”, non è determinato anche nel “quantum” (Sez. 5, Sentenza n. 30105 del 05/06/2018, Rv. 273767; si vedano anche Sez. 5, Sentenza n. 17792 del 23/02/2017, Rv. 269639; Sez. 5, Sentenza n. 50836 del 03/11/2016, Rv. 268433; Sez. 5, Sentenza n. 46959 del 27/10/2009, Rv. 245399).
È peraltro evidente che alla mancanza di delibera assembleare possa accomunarsi il caso in cui tale delibera sia stata adottata ma solo in maniera formale ovvero solo per giustificare l’indebito prelievo di somme dalle casse sociali.
La Corte territoriale ha ampiamente motivato sugli elementi che inducono a ritenere che nella specie la delibera assembleare sia stata adottata solo pro-forma, attenendosi peraltro ai principi affermati da questa Corte sulla necessità che la congruità dei compensi liquidati in favore degli amministratori di una società debba essere fondata su dati ed elementi di confronto che ne consentano un’adeguata e oggettiva valutazione (si veda la già citata Sez. 5, Sentenza n. 17792 del 23/02/2017, Rv. 269639).
Anche in relazione a tale profilo le deduzioni difensive sollecitano a questa Corte una diversa ricostruzione dei fatti e una rivalutazione delle risultanze processuali, peraltro non denunziando vizi di travisamento tali da poter ritenere che i giudici di merito abbiano fondato il proprio convincimento su elementi insussistenti o, per come esposti nel provvedimento impugnato, incontestabilmente diversi da quelli reali, ovvero abbiano trascurato un elemento esistente e decisivo, in modo da sollecitare un intervento della Cassazione nel senso non di una reinterpretazione degli elementi probatori, ma della verifica sulla sussistenza e sul contenuto di detti elementi.
Va allora conclusivamente affermato il seguente principio di diritto: integra il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione la condotta dell’amministratore che prelevi dalle casse sociali somme a lui spettanti come compensi, se questi sono genericamente indicati nello statuto, non sono giustificati da dati ed elementi di confronto che ne consentano una oggettiva valutazione e vi sia stata determinazione del loro ammontare con delibera assembleare adottata solo pro-forma, così come accertato e ritenuto dal giudice del merito sulla base di risultanze processuali di cui si è dato conto con motivazione congrua e logica, non sindacabile in sede di legittimità.
3. Versato in fatto e finalizzato alla rivalutazione delle prove è anche il secondo motivo di ricorso, con il quale si censura la motivazione della sentenza in relazione alla imputazione di ricorso abusivo al credito.
La Corte territoriale ha chiarito che, sulla base della testimonianza del funzionario della banca, si è accertato che il T. omise di comunicare lo stato di dissesto in atto e l’imminente fallimento, tanto che l’ultima anticipazione bancaria risulta essere stata fatta pochi giorni prima della dichiarazione dello stesso fallimento.
È stata, peraltro, ritenuta irrilevante la circostanza che ci fossero dei titoli in pegno, giacché la somma ricevuta dalla società è di importo superiore a quella ottenibile dallo svincolo degli stessi titoli.
Nè sono positivamente apprezzabili in questa sedè i diversi dati fattuali solo indicati dalla difesa, che peraltro non ha dedotto in merito alcun vizio di travisamento della prova nei termini già sopra delineati.
3. Inammissibile è anche il terzo ed ultimo motivo di ricorso con il quale si censura la motivazione della sentenza relativa al reato di cui all’art. 641 c.p..
La Corte territoriale ha dato specifico conto degli elementi fattuali e delle correlate risultanze processuali che sono state poste a fondamento della affermazione di responsabilità per il suddetto reato (pagg. 10 e 11 della sentenza impugnata).
A fronte di tale articolata motivazione, ancora una volta le censure difensive sollecitano una diversa valutazione dei fatti e delle prove, trascurando peraltro che il reato di insolvenza fraudolenta si consuma non nel momento in cui viene contratta l’obbligazione o in quello in cui viene a manifestarsi lo stato di insolvenza, bensì in quello dell’inadempimento, che costituisce l’ultima fase dell’iter criminoso.
4. Alla pronunzia di inammissibilità consegue ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione del tenore delle questioni dedotte, appare equo determinare in Euro 3.000,00.
Il ricorrente va pure condannato alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, liquidate nella misura qui di seguito indicata in dispositivo e tenuto conto che il difensore ha depositato una articolata memoria, con la quale ha argomentato sui motivi di ricorso, effettivamente esplicando, nei modi e nei limiti consentiti, un’attività diretta a contrastare l’avversa pretesa a tutela dei propri interessi di natura civile risarcitoria.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, che liquida in complessivi Euro 3.600,00, oltre accessori di legge.

Condividi questo post