Ancora sulla differenziazione delle fattispecie di bancarotta semplice e bancarotta fraudolenta documentale
La Corte, con la pronuncia in esame, conferma il principio già espresso in precedenti pronunce (Sez. 5, n. 2900 del 2/10/2018, Pisano, Rv. 274630; Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016, Incalza, Rv. 268867; Sez. 5, n. 48523 del 6/10/2011, Barbieri, Rv. 2517109) secondo il quale “la bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono in relazione al diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo, che, ai fini dell’integrazione della bancarotta semplice R.D. n. 267 del 1942, ex art. 217, comma 2, può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, comma 1, n. 2), R.D. citato, l’elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore”.
Nel caso di specie, l’elemento caratterizzante e per il quale è stata ritenuta applicabile la fattispecie di cui all’art. 216 comma II, è stato individuato nel fatto che l’irregolare tenuta delle scritture contabili sia stata accompagnata alla omessa registrazione di beni sottratti nell’imminenza del fallimento e dalla conseguente cessione a terzi a prezzo inferiore a quello di mercato: tale complessiva circostanza è, secondo l’interpretazione della Suprema Corte, dimostrativa della sussistenza di dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore.
In forza del ricordato principio, inoltre, grava sull’imprenditore provare la corretta destinazione dei beni, od il loro ricavato, in defetto di che “è da presumere, specie in assenza di una qualsiasi registrazione contabile, che i beni stessi siano stati oggetto di dolosa distrazione, con la conseguenza che è ravvisabile a carico degli amministratori della società l’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all’art. 223, comma 1 in relazione alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, essendo l’interesse tutelato da detta norma quello dei creditori alla conservazione della garanzia dei loro crediti” (Sez. 5, n. 178 del 26/02/1991, Mattia, Rv. 186949).
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 settembre – 5 ottobre 2020, n. 27566
Presidente Miccoli – Relatore Romano
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Napoli ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 17 giugno 2016, che ha affermato la penale responsabilità di D.G.B. per i delitti di bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale da lui commessi, quale amministratore unico della (omissis) s.r.l., dichiarata fallita il 23 aprile 2009, omettendo di tenere le scritture contabili, al fine di non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, e trasferendo a terzi numerosi veicoli ad un prezzo assai inferiore al loro valore, reati unificati ai sensi del R.D. n. 267 del 1942, art. 219, comma 1, n. 1, in un unico delitto di bancarotta fraudolenta aggravato.
La Corte di appello, in particolare, ha ridotto la durata delle pene accessorie previste dal R.D. n. 267 del 1942, art. 216, u.c..
2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso D.G.B. , a mezzo del suo difensore, chiedendone l’annullamento ed affidandosi a tre motivi.
2.1. Con il primo motivo lamenta la violazione dell’art. 192 c.p.p. e R.D. n. 267 del 1942, art. 216, comma 1, n. 1, nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla prova della commissione del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Sul punto la Corte territoriale si è limitata a richiamare la motivazione della sentenza di primo grado, sostenendo che i motivi di appello non contenevano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi dal Tribunale e che, contrariamente al vero, non era contestata la condotta distrattiva; operando una illegittima inversione dell’onere della prova, si è ritenuto indimostrato che i veicoli fossero stati alienati al fine di creare liquidità per l’azienda per far fronte alle forniture e si è affermato che sussistono plurimi elementi indicatori di una volontà pienamente rientrante nel parametro della fattispecie contestata, ossia l’epoca in cui sono avvenute le alienazioni dei veicoli e l’assenza delle scritture contabili.
Tuttavia, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, le alienazioni non sono coeve alla dichiarazione di fallimento, essendo iniziate nel 2008 e terminate nel 2011, e, quanto alle scritture contabili, il D.G. aveva depositato il bilancio al 29 aprile 2009 con allegati elenco fornitori al 31 dicembre 2007 e al 31 dicembre 2008.
In tal modo i giudici di appello hanno contraddittoriamente ed illogicamente disatteso le censure mosse con il gravame in ordine all’elemento soggettivo.
Le vendite dei veicoli avvenute sottocosto potevano integrare una bancarotta fraudolenta solo in mancanza di giustificazione in ordine alla destinazione dei beni al soddisfacimento di esigenze della società, mentre nel caso di specie tale giustificazione era stata offerta.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta contraddittorietà della motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale, nonché travisamento del fatto e della prova dello stesso reato.
La sentenza di secondo grado ha affermato che ricorre l’ipotesi dell’irregolare tenuta della contabilità, mentre dalla sentenza di primo grado risulta la totale mancanza di qualsiasi scrittura contabile; non si riesce a comprendere, dalla lettura congiunta delle due sentenze, se la tenuta delle scritture sia stata omessa o sia stata irregolare e risulta un travisamento del fatto.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole dell’omessa riqualificazione del delitto di bancarotta documentale quale bancarotta semplice.
La Corte di appello ha rigettato l’istanza in tal senso formulata dal D.G. perché l’irregolare tenuta delle scritture contabili ha interessato non solo le scritture di cui all’art. 2214 c.c., ma anche ogni altra scrittura imposta da diverse disposizioni di legge; tale motivazione è erronea perché la bancarotta documentale semplice e la bancarotta fraudolenta documentale per omessa tenuta delle scritture contabili si differenziano esclusivamente in relazione alla diversità dell’elemento soggettivo.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
2. Il primo motivo di ricorso è inammissibile, laddove si lamenta la violazione dell’art. 192 c.p.p..
Poiché la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’art. 192 c.p.p., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata (Sez. 4, n. 51525 del 04/10/2018, M, Rv. 274191).
Quanto alla lamentata carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, il motivo risulta manifestamente infondato.
Nella sentenza di secondo grado, alla pagina 2, si afferma espressamente che le alienazioni sono state attuate nel periodo tra il 2009 ed il 2011, e laddove, a pag. 4, della stessa sentenza si afferma che le alienazioni sono coeve alla dichiarazione di fallimento, tale affermazione non può essere intesa in modo assoluto (per cui tutte le alienazioni sarebbero avvenute lo stesso giorno della dichiarazione di fallimento), ma deve essere apprezzata in termini relativi, nel senso che le alienazioni, come esplicitato nella stessa sentenza, sono avvenute allorquando il D.G. era ben consapevole dello stato di decozione della società e della necessità di rispettare la par condicio creditorum.
Peraltro, la circostanza evidenziata dal ricorrente, secondo la quale numerose alienazioni sono avvenute dopo la dichiarazione di fallimento, avvalora l’esattezza dell’argomento utilizzato dalla Corte di appello; se le alienazioni sono avvenute dopo la dichiarazione di fallimento, il D.G. ben sapeva della destinazione dei beni sociali, tra i quali anche gli autoveicoli, a garantire il soddisfacimento delle ragioni dei creditori e doveva astenersi da condotte volte a sottrarre detti beni a tale garanzia. Ne consegue che l’alienazione dei veicoli integra sicuramente il delitto contestato, avendo l’imputato omesso di mettere tali beni nella disponibilità del curatore allo scopo di cederli a terzi, e la motivazione sul punto è esente dai vizi lamentati dal ricorrente.
Quanto all’assenza delle scritture contabili, non rileva che essa fosse totale o parziale, ma solo che le scritture non consentissero di ricostruire il patrimonio sociale e, ai fini che qui rilevano, di individuare gli autoveicoli come ancora appartenenti alla società fallita o come venduti nell’imminenza del fallimento.
Peraltro, quando risulta in modo specifico che, in epoca anteriore o prossima al fallimento, la società abbia avuto il possesso di determinati beni – non rinvenuti all’atto della redazione dell’inventario – spetta ai suoi amministratori di provare quale concreta destinazione abbiano avuto i medesimi beni o il loro ricavato. A tale esigenza si riallaccia l’obbligo, sanzionato, dalla regolare tenuta dei libri e delle scritture contabili durante la gestione della società. In difetto della suddetta prova è da presumere, specie in assenza di una qualsiasi registrazione contabile, che i beni stessi siano stati oggetto di dolosa distrazione, con la conseguenza che è ravvisabile a carico degli amministratori della società l’ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui all’art. 223, comma 1 in relazione alla L. Fall., art. 216, comma 1, n. 1, essendo l’interesse tutelato da detta norma quello dei creditori alla conservazione della garanzia dei loro crediti (Sez. 5, n. 178 del 26/02/1991, Mattia, Rv. 186949).
3. Il secondo motivo è inammissibile.
Il vizio di contraddittorietà di motivazione si verifica soltanto se, in ordine ad uno stesso fatto o ad un complesso di fatti, vi sia inconciliabilità logica fra l’una e l’altra affermazione della stessa sentenza impugnata per Cassazione, e non quando vi sia contrasto fra le considerazioni svolte nella sentenza di appello e quelle della decisione di primo grado (Sez. 4, n. 9924 del 23/02/1988, Arvonio, Rv. 179372; Sez. 2, n. 3308 del 04/12/1984 – dep. 1985, Vasta, Rv. 168637).
Anche a seguito della modifica apportata all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, Ferri, Rv. 273217).
È possibile dedurre il travisamento della prova, a condizione che questa sia specificamente indicata, ma tale specifica indicazione è assente nel caso di specie.
4. Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
È ben vero che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di cassazione, la bancarotta semplice e quella fraudolenta documentale si distinguono in relazione al diverso atteggiarsi dell’elemento soggettivo, che, ai fini dell’integrazione della bancarotta semplice R.D. n. 267 del 1942, ex art. 217, comma 2, può essere indifferentemente costituito dal dolo o dalla colpa, ravvisabili quando l’agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture contabili, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale, ex art. 216, comma 1, n. 2), R.D. citato, l’elemento psicologico deve essere individuato esclusivamente nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà dell’irregolare tenuta delle scritture, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell’imprenditore (Sez. 5, n. 2900 del 2/10/2018, Pisano, Rv. 274630; Sez. 5, n. 55065 del 14/11/2016, Incalza, Rv. 268867; Sez. 5, n. 48523 del 6/10/2011, Barbieri, Rv. 2517109).
Tuttavia, nel caso di specie, la Corte di appello ha dichiarato che non può applicarsi il R.D. n. 267 del 1942, art. 217 non solo perché l’omissione non ha investito solo le scritture contemplate dall’art. 2214 c.c., ma soprattutto perché, come affermato a pag. 5 della motivazione della sentenza di appello, il D.G. , con la sua condotta, mirava ad impedire agli organi fallimentari la ricostruzione della situazione economica della società.
Sebbene uno degli argomenti utilizzati per escludere la invocata riqualificazione del fatto risulti errato, rimane valido l’altro argomento, in relazione al quale il D.G. non ha mosso alcuna censura in questa sede.
È inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per cassazione che si limiti alla critica di una sola delle diverse rationes decidendi poste a fondamento della decisione, ove queste siano autonome ed autosufficienti (Sez. 3, n. 2754 del 06/12/2017 – dep. 2018, Bimonte, Rv. 272448).
5. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., comma 1, la condanna al pagamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che si reputa equo fissare in Euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.