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La prescrizione del reato presupposto non salva la società dall’accertamento circa la responsabilità amministrativa

In tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. b) del D. Lgs 8 giugno 2001 n. 231, deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSTANZO Angelo – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. VILLONI Orlando – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Angelo – rel. Consigliere –

Dott. APRILE Ercole – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Formica Ambiente s.r.l.;

avverso la sentenza del 26/11/2018 della Corte di appello di Lecce;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal componente Dr. Angelo Capozzi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Dall’Olio Marco, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;

udito il difensore, avv. Niccolò Dello Russo del foro di Bari, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo
1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Lecce, a seguito di gravame interposto – tra gli altri – dall’ente Formica Ambiente s.r.l. avverso la sentenza emessa in data 3.2.2015 dal Tribunale di Brindisi, ha confermato la decisione con la quale il predetto ente è stato ritenuto responsabile, con conseguente sanzione di giustizia, dell’illecito amministrativo di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 25, comma 2, in relazione al reato sub R) di cui agli artt. 81, 319,321 c.p. commesso da F.V., all’epoca consigliere di amministrazione dello stesso ente e gestore della discarica di (OMISSIS), e L.S. chimico componente del comitato tecnico della Provincia di Brindisi. In particolare, quest’ultimo, in cambio dell’asservimento delle pubbliche funzioni da lui svolte di agli interessi della Formica Ambiente s.r.l., si faceva conferire dal F. incarichi di natura professionale da espletarsi presso la discarica di C/da (OMISSIS) nonchè, grazie all’interessamento dello stesso F., conseguiva incarichi professionali da espletarsi nell’interesse di di soggetti economici diversi dalla Formica Ambiente e, infine, si faceva promettere sempre dal F. il suo interessamento per conseguire ulteriori incarichi di natura professionale presso altri soggetti economici e, in particolare, un incarico da parte di Sviluppo Italia, avente ad oggetto la caratterizzazione della zona industriale di (OMISSIS). Da tale condotta illecita la società Formica s.r.l. aveva tratto un profitto di rilevante entità costituito dalla circostanza che, a seguito dell’interessamento illecito del L., il Comitato tecnico provinciale esprimeva parere favorevole sulle istanze presentate dalla Formica ambiente s.r.l. alla Provincia di Brindisi tese ad ottenere l’autorizzazione all’adeguamento della discarica di c.da (OMISSIS) ai sensi del D.Lgs. n. 36 del 2003, art. 17 ed alla realizzazione, sempre in c.da (OMISSIS), di una piattaforma per il trattamento, la valorizzazione e lo stoccaggio definitivo dei rifiuti non pericolosi.

2. Dichiarato prescritto il reato presupposto sub R) a carico di F.V., la Corte di appello ha confermato la responsabilità della società ricorrente ritenendo la sussistenza del reato sub R) (art. 81, 319 e 321 c.p. commesso fino al (OMISSIS)) essendo provato che il L. si era posto illegittimamente – al di là del compimento di singoli atti illegittimi – come uomo di fiducia della Formica Ambiente s.r.l., asservito agli interessi della società, all’interno dell’organo collegiale c.p.T. di Brindisi e che, in cambio, il F. si era attivato per procurargli vari incarichi remunerativi. E’ stata ascritta al L. l’indebita comunicazione al F. in tempo reale dello stato delle pratiche e di aver cercato di favorirne il positivo esito, senza mettere al corrente gli altri membri dei suoi rapporti con la Formica Ambiente che avrebbero imposto l’obbligo di astensione.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’ente Formica Ambiente s.r.l. che, con atto a mezzo dei difensori e procuratori speciali, deduce:

3.1. violazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3, per omessa considerazione dei motivi di gravame e della nota di udienza.

3.2. Mancanza assoluta di motivazione in ordine al movente del reato, essendo il F. mandato assolto con formula piena dal reato di aver consapevolmente abbancato presso il proprio impianto di smaltimento rifiuti diversi da quelli che era autorizzato a ricevere in forza dei provvedimenti amministrativi rilasciati dalla Provincia di Brindisi. Pertanto, il F. non aveva nulla da nascondere svolgendo la propria attività in perfetta legalità e lo stesso si limitava a tutelarsi contro l’ostilità della Provincia che non valutava correttamente le istanze della società Formica Ambiente, in alcuni casi addirittura insabbiandole, determinando una frattura tra Comitato Tecnico e la stessa Provincia. Tale situazione e non il mercimonio delle funzioni – come dimostrato dalle emergenze indicate in appello ed in ricorso – aveva determinato la convergenza tra il F. ed il L.: su tale decisiva deduzione in appello la Corte ha omesso di fornire qualsiasi valutazione.

3.3. Violazione di legge in ordine alla ritenuta sussistenza dell’atto contrario ai doveri di ufficio.

Al F. si contesta il reato di corruzione propria per aver indotto il L. a compiere atti contrari ai doveri del suo ufficio costituiti “dall’asservimento delle sue pubbliche funzioni di chimico componente del comitato tecnico della Provincia di Brindisi agli interessi della Formica Ambiente s.r.l.”, purtuttavia senza individuare alcuno specifico atto contrario ai doveri di ufficio, non essendo individuata – secondo la imputazione – alcuna illiceità/irregolarità nel parere reso dal Comitato Tecnico.

Diversamente dalla elevata contestazione, il Tribunale aveva ritenuto di ravvisare nella condotta del L. un quid pluris rispetto all’asservimento della funzione costituito (a) dalla anticipazione al F. delle decisioni del Comitato e (b) dalla violazione del proprio dovere di astensione nella trattazione delle pratiche della Formica s.r.l. stante il conflitto di interessi derivante dal rapporto di collaborazione professionale intrattenuto con la società; inoltre, lo stesso Tribunale aveva ritenuto la responsabilità ex D.Lgs. n. 231 del 2001 osservando che, essendo stata provata la condotta corruttiva ascritta al F., “non può dubitarsi che il responsabile del reato presupposto abbia agito nell’esclusivo interesse della società, identificabile nel conseguimento dell’autorizzazione all’adeguamento dell’impianto brindisino”. Alla contestazione in appello che le predette ragioni non erano oggetto della contestazione al F. la Corte non ha risposto, esibendosi in conclusioni viziate per:

3.3.1. Violazione dell’art. 319 c.p. essendosi ravvisato il reato di corruzione propria in assenza della individuazione dell’atto contrario ai doveri di ufficio (v. Cass. Sez. VI sulla vicenda dello Stadio di Roma). In ogni caso, non sarebbe ravvisabile neanche il reato di cui all’art. 318 c.p. difettando la qualifica soggettiva, essendo detta norma applicabile, secondo il disposto del previgente art. 320 c.p., solo ed esclusivamente al pubblico ufficiale ed al pubblico impiegato, qualità pacificamente non rivestite dal L., all’epoca dei fatti incaricato di pubblico servizio.

All’applicabilità del nuovo art. 318 c.p. comunque osterebbe la mancanza di indebite utilità da parte del L., posto che lo stesso ebbe a ricevere – incontestatamente – retribuzioni dovute per lecite attività svolte nell’ambito dell’incarico datogli dalla società Formica s.r.l..

3.3.2. Omessa motivazione sulla configurabilità come atto contrario ai doveri di ufficio del parere rilasciato dal Comitato Tecnico. Alle pertinenti deduzioni difensive circa la regolarità di tale atto, la Corte non ha risposto in alcun modo.

3.3.3. Illogicità della motivazione in ordine alla pretesa ricerca di influenza da parte del L. sulla decisione del Comitato Tecnico ed alla pretesa contrarietà ai doveri di ufficio della comunicazione da parte dello stesso L. dell’andamento dei lavori del Comitato Tecnico.

3.3.4. Mancanza di motivazione in ordine alla affermazione che il L. avrebbe violato l’obbligo di astensione e violazione dell’art. 323 c.p.. Premessa la mancata contestazione di tale violazione, non risulta essere stata indicata la norma in base alla quale il L. avrebbe dovuto astenersi dalla trattazione delle pratiche della Formica s.r.l. in ragione dei leciti rapporti di collaborazione intrattenuti con la predetta società, posto che la pretesa violazione non risulta aver inficiato l’atto finale, in assenza di qualsiasi indicazione sulla rilevanza del profitto conseguito con tale atto.

Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione in relazione al terzo assorbente dei motivi proposti sulla sussistenza della violazione sub A) di cui al D.Lgs. n. 231 del 2001 ascritta alla ricorrente ed in relazione alla ritenuta comma 2, D.Lgs. n. 231 del 2001 ascritta alla ricorrente ed in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di corruzione propria sub R) reato presupposto della predetta violazione che, pertanto, merita pregiudiziale considerazione.

2. La prima sentenza aveva aderito alla prospettazione dell’accusa sviluppando un ragionamento che teneva conto della giurisprudenza espressa prima della riforma del 2012 e della successiva evoluzione normativa. Quanto alla prima si evidenziava l’assestamento di legittimità secondo il quale era sufficiente ai fini dell’inquadramento nella ipotesi di corruzione propria un complessivo asservimento della funzione istituzionale alle ragioni private, in cambio di utilità. Quanto alla seconda, aveva rilevato la mutata situazione con riferimento alla modifica dell’art. 318 c.p. che – secondo il primo Giudice faceva rientrare nella ipotesi di corruzione impropria quelle che prima erano state fatte rientrare in quella propria in assenza della individuazione di atti contrari ai doveri di ufficio.

Tuttavia, il primo Giudice (v. pg. 521 e ss. della prima sentenza) ha escluso l’applicazione della più favorevole norma dell’art. 318 c.p. rinvenendo, nella condotta del L., “uomo” della Formica s.r.l., un atto contrario ai doveri di ufficio consistito nella violazione dell’obbligo di riservatezza con la trasmissione al F. di informazioni che dovevano rimanere riservate (quanto ai tempi ed alle posizioni all’interno del comitato) nonchè nella violazione del dovere di astensione prendendo parte alle riunioni riguardanti le pratiche di Formica s.r.l. nonostante il conflitto di interessi derivante dal rapporto di collaborazione professionale intrattenuto con la società. Inoltre, ha motivato sulla incidenza dell’apporto del L. all’interno del comitato tecnico e la delegittimazione dell’intero iter decisionale per la partecipazione ad esso di un soggetto non imparziale, donde la irrilevanza di ogni questione sulla legittimità dell’atto adottato e delle considerazioni sulla ostilità della Provincia alle istanze della Formica s.r.l..

La Corte di appello nell’affermare la sussistenza del reato presupposto sub R) ha dichiarato di condividere sia l’assunto dell’accusa fondato sulla vendita della funzione da parte del L. che le motivazioni poste a base della prima decisione (v. pg. 12 della sentenza impugnata). In tal senso richiama l’orientamento di legittimità espresso, tra le altre e da ultimo, dalla sentenza di Sez. 6 n. 29267 del 5/4/2018, Baccari ed altro affermando, altresì, la sussistenza delle due condotte in capo allo stesso L. – rispettivamente di violazione dell’obbligo di riservatezza e del dovere di astensione – integranti gli atti contrari ai doveri di ufficio.

3. Costituisce jus receptum in tema di responsabilità degli enti, in presenza di una declaratoria di prescrizione del reato presupposto, il giudice, ai sensi del D.Lgs. n. 231 del 2001, art. 8, comma 1, lett. b) deve procedere all’accertamento autonomo della responsabilità amministrativa della persona giuridica nel cui interesse e nel cui vantaggio l’illecito fu commesso che, però, non può prescindere da una verifica, quantomeno incidentale, della sussistenza del fatto di reato (Sez. 6, n. 21192 del 25/01/2013, Barla e altri, Rv. 255369); ancora, in tema di responsabilità da reato degli enti, la separazione delle posizioni processuali di alcuni degli imputati del reato presupposto per effetto della scelta di riti alternativi non incide sulla contestazione formulata nei confronti dell’ente nè riduce l’ambito della cognizione giudiziale; da ciò consegue che dall’assoluzione di uno degli imputati del reato presupposto, non per insussistenza del fatto, non discende automaticamente l’esclusione della responsabilità dell’ente, dovendo il giudice procedere ad una verifica del reato presupposto alla stregua dell’integrale contestazione dell’illecito formulata nei confronti dell’ente, accertando la sussistenza o meno delle altre condotte poste in essere dai coimputati nell’interesse o a vantaggio dell’ente. (Sez. 6, n. 49056 del 25/07/2017, P.G. e altro in proc. Brambilla e altri, Rv. 271563).

4. Questo Collegio ritiene che le ragioni esposte dalla Corte di merito in ordine alla sussistenza del reato presupposto sub R) – come fissato dall’editto accusatorio (che, pertanto, non consente il riferimento alla decisione di questa Corte resa in sede cautelare) – non possono essere condivise.

Invero, la contemporanea adesione posta a base della ritenuta sussistenza del detto reato innanzitutto non appare congrua, facendo riferimento a due diverse prospettive ermeneutiche in ordine alla sussistenza del reato di corruzione propria ed a due diverse impostazioni dell’accusa.

In particolare, non può sovrapporsi la fondatezza della contestazione formulata nel capo R) della vendita della funzione senza alcuna individuazione di atti contrari ai doveri di ufficio a quella che – a sostegno della qualificazione del reato nell’alveo della corruzione propria – individua due condotte contrarie ai doveri di ufficio.

4.1. Quanto alla prima prospettiva, la sentenza non ha considerato il superamento dell’orientamento di legittimità espresso da Sez. 6 n. 29267 del 5/4/2018 Rv. 273448, Baccari ed altro da parte di Sez. 6 n. 4486 del 11/12/2018, Palozzi, Rv. 274984, il cui orientamento questo Collegio condivide, secondo la quale in tema di corruzione, lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi realizzato attraverso l’impegno permanente ricordato, ha condivisibilmente affermato che ” ciò che deve essere rivisto è il presupposto, di tipo “presuntivo psicologico”, secondo cui una volta concluso l’accordo corruttivo, “il successivo (futuro e incerto) esercizio del potere pubblico non potrà non essere inquinato, contaminato dall’interesse privato veicolato dell’intesa illecita”; si finisce per centrare il disvalore della fattispecie sul patto criminoso e per spostare l’antigiuridicità del comportamento del funzionario dai profili relativi alla condotta (la non conformità ai doveri di ufficio) a quelli che riflettono maggiormente l’elemento psicologico del reato (il dolo insito nell’accettazione del denaro o della sua promessa)”.

4.2. Quanto alla individuazione delle due condotte contrarie ai doveri di ufficio – assorbente rispetto all’indubbia assenza di motivazione alle contestazioni mosse con l’atto di appello e successivamente sostenute con la memoria difensiva depositata nel corso del dibattimento – è la considerazione che essa conduce ad un reato presupposto diverso da quello contestato in violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza che è funzionale alla salvaguardia del diritto di difesa dell’imputato; ne consegue che la violazione di tale principio è ravvisabile quando il fatto ritenuto nella decisione si trova, rispetto al fatto contestato, in rapporto di eterogeneità, ovvero quando il capo d’imputazione non contiene l’indicazione degli elementi costitutivi del reato ritenuto in sentenza, nè consente di ricavarli in via induttiva (Sez. 6, n. 10140 del 18/02/2015, Bossi e altro, Rv. 262802).

4.3. In relazione alla inderogabile necessità della corretta qualificazione giuridica del reato presupposto, deve essere richiamato il risalente ed immutato orientamento – valevole anche in relazione alla fattispecie amministrativa considerata – secondo il quale qualora, a sostegno del ricorso per Cassazione, l’imputato di ricettazione deduca l’insussistenza del reato ascrittogli perchè il reato presupposto sarebbe stato erroneamente configurato come truffa, anzichè come insolvenza fraudolenta (reato punibile a querela di parte, e nella specie improcedibile per difetto di querela) il supremo collegio è tenuto a dare al fatto qualificato come truffa dai giudici di merito l’esatta configurazione giuridica, anche se il suddetto reato sia stato dichiarato estinto per amnistia e l’imputato di tale reato non abbia proposto ricorso per Cassazione. L’indagine suddetta è, infatti, necessaria al fine di evitare che la difettosa applicazione di una norma di diritto sostanziale all’imputato di un reato, possa nuocere all’imputato di un reato diverso, allorchè l’accertamento del primo reato influisca sulla sussistenza del secondo (Sez. 6, n. 838 del 12/10/1971, Lotti, Rv. 119542).

4.4. La Corte di appello, per questo aspetto, avallando il rinvenimento ex abrupto da parte del primo giudice delle due condotte illegittime oltre la contestazione del fatto sub R) ha riformulato la condotta ascritta al L. presupposto della violazione amministrativa sub A), senza che da quella contestata si potessero dedurre le due condotte contra legem integranti la corruzione propria.

Cosicchè – escluse queste due condotte illegittimamente rinvenute (ed al di là delle questioni relative alla loro sussistenza in aletin modo affrontate dalla Corte di appello) – la fattispecie esula sia da quella prevista dall’art. 319 c.p. – per le ragioni in diritto già esposte – che da quella di cui all’art. 318 c.p..

Quanto a quest’ultima – secondo la previsione applicabile ratione temporis di cui all’art. 320 c.p. – essa era applicabile all’incaricato di pubblico servizio qualora rivesta la qualità di pubblico impiegato, qualità quest’ultima non ricoperta dal L.. A tal riguardo è stato già affermato che non è configurabile il delitto di corruzione per atto di ufficio ex art. 318 c.p. – nel testo vigente prima delle modifiche della L. n. 190 del 2012 – nei confronti del Presidente di una società di gestione di una tratta autostradale, perchè, pur rivestendo quest’ultimo la qualifica di incaricato di pubblico servizio, non può essere considerato un pubblico impiegato (Sez. 6, n. 27719 del 05/02/2013 Grisenti e altri, Rv. 255599).

5. L’accoglimento dei profili esaminati assorbe ogni altra questione proposta conseguendo l’insussistenza del reato presupposto sub R) e, quindi, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perchè il fatto sub A) contestato alla ricorrente non sussiste.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè il fatto non sussiste.

Conclusione
Così deciso in Roma, il 18 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 9 ottobre 2020

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