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Il problema della cristallizzazione del credito IVA (ordinanza interlocutoria e rimessione alle SS.UU)

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza interlocutoria 17 ottobre 2019 – 21 luglio 2020, n. 15525
Presidente Manzon – Relatore Nonno

Rilevato

che:
1. con la sentenza n. 2086/04/16 del 13/04/2016, la Commissione tributaria regionale del Lazio (di seguito CTR): 1) ha respinto l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 824/04/14 della Commissione tributaria provinciale di Viterbo (di seguito CTP); 2) ha accolto l’appello incidentale proposto da Fast Finance s.p.a. con riferimento alla regolazione delle spese di lite (originariamente compensate dalla CTP);
1.1. come si evince dagli atti di causa: a) la curatela del fallimento (omissis) s.r.l. ha chiesto, con riferimento all’anno d’imposta 2007, il rimborso di un credito IVA di Euro 24.954,00 maturato in periodo antecedente alla dichiarazione di fallimento e, specificamente, nell’anno 1998; b) con provvedimento notificato in data 02/04/2009 alla curatela fallimentare, regolarmente riscontrato, l’Agenzia delle entrate ha invitato il curatore a depositare ulteriore documentazione, evidenziando che, nelle more, il rimborso avrebbe dovuto ritenersi sospeso; c) con scrittura privata del 23/06/2010 il menzionato credito è stato ceduto a Fast Finance s.p.a. e l’atto di cessione è stato regolarmente comunicato all’Agenzia delle entrate; d) in data 27/11/2010 l’Agenzia delle entrate ha comunicato a Fast Finance s.p.a. che il credito IVA chiesto a rimborso non è stato mai riconosciuto dall’Amministrazione finanziaria, che il rimborso dello stesso è sospeso e che risultano a carico della società fallita carichi tributari per complessivi Euro 12.756,12; e) tale ultimo provvedimento, inteso come sostanziale diniego di rimborso, è stato impugnato da Fast Finance s.p.a. davanti alla CTP;
2. la CTP ha accolto integralmente il ricorso di quest’ultima società affermando, tra l’altro, che il credito IVA si è formato anteriormente alla dichiarazione di fallimento di (omissis) s.r.l. e che lo stesso non è stato tempestivamente contestato dall’Amministrazione finanziaria, sicché si sarebbe consolidato per decadenza del potere di accertamento da parte dell’Ufficio, che avrebbe potuto essere esercitato indipendentemente dal deposito della documentazione richiesta alla curatela fallimentare;
2.1. avverso la sentenza della CTP è stato proposto appello principale dall’Agenzia delle entrate e appello incidentale da Fast Finance s.p.a., con specifico riferimento alla statuizione relativa alle spese di lite;
3. per quanto ancora interessa in questa sede, la CTR ha respinto l’appello dell’Agenzia delle entrate osservando che il credito IVA (riportato nella dichiarazione dell’anno 2007, ma relativo ad anni precedenti alla dichiarazione di fallimento) si è ormai consolidato, sicché non avrebbe potuto chiedersi l’applicazione del D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 313, art. 10, con ciò sospendendosi surrettiziamente, sulla base di un preteso mancato deposito della necessaria documentazione, termini di accertamento del credito IVA già ampiamente scaduti;
4. l’Agenzia delle entrate ha impugnato la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo;
5. Banca Ifis s.p.a. (incorporante Fast Finance s.p.a.) ha resistito con controricorso e ha, altresì, depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Considerato

che:
1. con l’unico motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs. n. 313 del 1997, art. 10 e dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
1.1. in buona sostanza, la ricorrente sostiene che: a) il mancato deposito della documentazione richiesta a seguito della presentazione dell’istanza di rimborso avrebbe comportato la proroga del termine per l’accertamento del credito; b) in ogni caso, i termini decadenziali si applicherebbero unicamente alle attività di accertamento e non anche a quelle con cui l’Amministrazione finanziaria contesti un suo debito; c) la CTR non avrebbe tenuto in debito conto il mancato deposito, da parte della curatela fallimentare, cedente il credito IVA, dei documenti richiesti, tra i quali la copia dei registri IVA e delle fatture d’acquisto, con ciò venendo meno all’onere probatorio sulla stessa gravante;
2. orbene, il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 57, come integrato dal D.Lgs. n. 313 del 1997, art. 10, così recita: “1. Gli avvisi relativi alle rettifiche e agli accertamenti previsti nell’art. 54 e nell’art. 55, comma 2, devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Nel caso di richiesta di rimborso dell’eccedenza d’imposta detraibile risultante dalla dichiarazione annuale, se tra la data di notifica della richiesta di documenti da parte dell’ufficio e la data della loro consegna intercorre un periodo superiore a quindici giorni, il termine di decadenza, relativo agii anni in cui si è formata l’eccedenza detraibile chiesta a rimborso, è differito di un periodo di tempo pari a quello compreso tra il sedicesimo giorno e la data di consegna. 2. In caso di omessa presentazione della dichiarazione l’avviso di accertamento dell’imposta a norma dell’art. 55, comma 1, può essere notificato fino ai 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
3. Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti le rettifiche e gli accertamenti possono essere integrati o modificati, mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio dell’imposta sul valore aggiunto”;
3. nel caso di specie, è pacifico tra le parti che il credito IVA è stato indicato nella dichiarazione relativa all’anno 1998 e chiesto a rimborso dal curatore fallimentare solo nell’anno 2007 a mezzo presentazione del modello VR/2008, sicché il potere dell’Amministrazione finanziaria di procedere alla rettifica si è consumato con la decorrenza del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 1;
3.1. è altrettanto pacifico che, a seguito della richiesta di rimborso, l’Amministrazione finanziaria ha chiesto alla curatela fallimentare la documentazione attestante l’esistenza del credito d’imposta, tra cui i registri IVA e le fatture;
3.1.1. sotto un primo profilo, la richiesta di documentazione del credito da parte dell’Amministrazione è intervenuta in epoca successiva alla cd. cristallizzazione del credito e, pertanto, appare inidonea a consentire una proroga del termine decadenziale già maturato, come sembra, invece, sostenere la difesa erariale con il rilievo di cui supra, § 1.1., sub a), che sembrerebbe infondato (Cass. n. 4616 del 26/02/2014; Cass. n. 6788 del 20/03/2009);
3.1.2. sotto un secondo profilo, la menzionata richiesta mette sostanzialmente in discussione l’esistenza stessa dell’eccedenza chiesta a rimborso, sicché è dirimente la questione posta dalla difesa erariale con il secondo profilo di censura, questione concernente la contestabilità del credito IVA chiesto a rimborso una volta intervenuta la decadenza di cui al menzionato D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 1;
3.1.3. invero, ove si ritenga che il credito chiesto a rimborso sia contestabile in ogni tempo e il termine decadenziale riguardi solo il potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria, allora il rilievo di cui supra, § 1.1., sub b) dovrebbe ritenersi fondato, anche in ragione del mancato deposito, da parte della curatela fallimentare, della documentazione richiesta, come evidenziato dalla ricorrente con il rilievo sub c);
3.1.4. ove, invece, si ritenga che la decorrenza del termine decadenziale implichi, in ogni caso, la cristallizzazione del credito IVA, con ciò impedendo anche la contestazione del credito chiesto a rimborso, il motivo sarebbe infondato, restando assorbita ogni ulteriore questione concernente il mancato deposito della documentazione richiesta dall’Agenzia delle entrate (non avrebbe alcun senso, infatti, richiedere la prova dell’esistenza di un credito IVA non più contestabile);
4. ciò precisato, secondo il tradizionale orientamento di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 8810 del 10/04/2013; Cass. n. 16768 del 09/08/2016), il diniego di rimborso del credito IVA soggiace al termine di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, se esso dipenda dalla contestazione della sussistenza dell’eccedenza detraibile indicata dal contribuente (Cass. n. 8460 del 22/04/2005; Cass. n. 17969 del 24/07/2013), mentre non vi soggiace se, pacifica tale sussistenza, vengano contestati i requisiti per l’accesso al rimborso contemplati dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30 (Cass. n. 194 del 10/01/2004; Cass. n. 29398 del 16/12/2008; Cass. n. 8642 del 09/04/2009);
4.1. invero, come chiarito da Cass. n. 194 del 2004, cit., “la contestazione circa la sussistenza dei fatti costitutivi del diritto al rimborso indicati dalla norma – quante volte non investa l’esistenza stessa di una eccedenza di imposta in favore del contribuente ma sia limitata (…) all’esistenza degli altri fatti costitutivi – non influisce assolutamente sull’entità dell’imposta dovuta (che resta, quindi, fuori dalla discussione nella sua determinazione quantitativa) e, pertanto, non attiene assolutamente a profili accertativi dell’imposta stessa (che rimangono immutati e non discussi tra le parti) per cui la contestazione in parola non può ritenersi soggetta al termine decadenziale previsto dalla legge per tutt’altra fattispecie ma deve ritenersi sempre opponibile al contribuente finché questi abbia il diritto di ottenere il rimborso delle eccedenze” (conf. Cass. n. 29398 del 2008, cit.; Cass. n. 8642 del 2009, cit.; Cass. n. 8810 del 2013, cit.; Cass. n. 8998 del 18/04/2014; Cass. n. 25036 del 25/11/2014; Cass. 16768 del 2016, cit.);
4.2. secondo Cass. n. 16768 del 2016, cit., la conclusione non sarebbe in contrasto con altri arresti della S.C. e, in particolare: a) con Cass. n. 10192 del 18/04/2008, la quale fa applicazione del principio espresso da Cass. n. 8460 del 2005, cit., riguardante la diversa fattispecie di diniego con il quale è stata contestata l’esistenza dell’eccedenza detraibile; b) con Cass. n. 17697 del 2009, che non applica il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, e, dunque, non riguarda l’IVA;
5. il superiore orientamento sembra, peraltro, non rispettoso del principio enunciato da Cass. S.U. n. 5069 del 15/03/2016, secondo il quale “in tema di rimborso d’imposte, l’Amministrazione finanziaria può contestare il credito esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi anche qualora siano scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento, senza che abbia adottato alcun provvedimento, atteso che tali termini decadenziali operano limitatamente al riscontro dei suoi crediti e non dei suoi debiti, in applicazione del principio “quae temporalia ad agendum, perpetua ad excepiendum”” (principio che, secondo Cass. n. 25464 del 12/10/2018 non contrasta “con l’art. 1 del I Protocollo addizionale alla CEDU, in quanto tale norma garantisce tutela sul piano convenzionale ai soli crediti già accertati, nonché liquidi ed esigibili, ossia a quelli che possano ritenersi parte del patrimonio dell’individuo”;
5.1. trattasi di principio che, sebbene pronunciato con riferimento alle imposte dirette (specificamente, con riferimento all’IRPEG) – e, come tale, ripreso anche dalla giurisprudenza successiva (si vedano, ad es., Cass. n. 3404 del 06/02/2019; Cass. n. 2392 del 31/01/2018; Cass. n. 15695 del 23/06/2017; Cass. n. 12557 del 17/06/2016; Cass. n. 10479 del 20/05/2016) – è stato talvolta applicato anche in materia di IVA (si veda, ad es., Cass. n. 3096 del 01/02/2019; Cass. n. 20122 del 25/07/2019, invece, pronunciando sul rimborso di un credito IVA, applica i principi ricavabili dall’orientamento tradizionale e quelli conseguenti alla interpretazione delle Sezioni Unite come se siano espressione di un unico indirizzo interpretativo), in evidente distonia con l’orientamento tradizionale;
6. osserva questa Corte che una lettura estensiva del disposto di Cass. S.U. n. 5069 del 2016, cit., certamente autorizzata alla luce della generale portata del principio espresso, non è l’unica possibile, alla luce del rassegnato e consolidato orientamento pregresso in materia di IVA, sicché sembra quanto mai opportuno un ulteriore intervento chiarificatore del supremo organo nomofilattico, anche al fine di evitare future incertezze interpretative in una materia di rilevante importanza;
6.1. già Cass. S.U. n. 5069 del 2016, cit., non ha mancato di segnalare la disarmonia di sistema che si viene a creare allorquando si consenta all’Amministrazione finanziaria di eccepire in ogni tempo, anche una volta decorso il termine di decadenza previsto dalla legge per l’esercizio del potere di accertamento, la inesistenza del credito tributario esposto in dichiarazione, con ciò escludendosi l’effetto di cristallizzazione o consolidamento dello stesso;
6.1.1. tuttavia le Sezioni Unite hanno ritenuto preferibile (peraltro, senza alcuna ulteriore specificazione) la soluzione per la quale “i termini decadenziali in questione sono apposti solo alle attività di accertamento di un credito della Amministrazione e non a quelle con cui la Amministrazione contesti la sussistenza di un suo debito”, in applicazione “del principio secondo cui “quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum” (art. 1442 c.c.)”;
6.2. del resto, la diversa tesi per la quale l’Amministrazione finanziaria non possa più muovere obiezioni sull’an e sul quantum del credito di imposta implica essa stessa alcune disarmonie di sistema;
6.2.1. in primo luogo, come segnalato in dottrina, è pacifico che il contribuente, in sede di impugnazione dell’atto impositivo, possa sempre rettificare in me/ius la propria dichiarazione, anche una volta decorso il termine per presentare l’istanza di rimborso, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico (Cass. S.U. n. 17394 del 06/12/2002; conf. Cass. S.U. n. 119, 120, 121 e 122 del 09/01/2003; Cass. n. 7422 del 14/05/2003; Cass. n. 10229 del 27/06/2003; Cass. n. 11488 del 24/07/2003; Cass. n. 2725 del 04/02/2011; Cass. n. 7294 del 11/05/2012; Cass. n. 21968 del 28/10/2015);
6.2.2. il principio, elaborato in materia di imposte sui redditi, è stato ripreso e precisato da Cass. S.U. n. 13378 del 30/06/2016 in materia di dichiarazione integrativa (conf. Cass. n. 11507 del 11/05/2018; Cass. n. 27583 del 30/10/2018; Cass. n. 30796 del 28/11/2018) e, in ragione del valore non negoziale o dispositivo della dichiarazione fiscale, equiparabile ad una dichiarazione di scienza, è ritenuto di portata generale, come tale applicabile all’INVIM (Cass. n. 4388 del 04/03/2004; Cass. n. 25056 del 27/11/2006), all’ICI (Cass. n. 2926 del 10/02/2010; Cass. n. 6635 del 07/03/2019), all’imposta di successione (Cass. n. 4755 del 25/02/2008; Cass. n. 6609 del 23/03/2011; Cass. n. 2366 del 31/01/2013; Cass. n. 11192 del 10/05/2013; Cass. n. 2229 del 06/02/2015; Cass. n. 13595 del 30/05/2018) e anche all’IVA (Cass. n. 18774 del 09/12/2003; Cass. n. 3904 del 26/02/2004; Cass. n. 20119 del 30/07/2018);
6.2.3. orbene, se al contribuente è consentito in ogni tempo di eccepire, in sede contenziosa, l’errore commesso con la dichiarazione fiscale, così da evitare che gli vengano richieste somme diverse da quelle effettivamente dovute, dovrebbe essere ragionevole consentire che analoga eccezione possa proporre l’Amministrazione finanziaria in sede di rimborso, anche se siano scaduti i termini per l’accertamento, qualora il contribuente chieda il pagamento di crediti d’imposta inesistenti;
6.2.4. in secondo luogo, in tema di condono fiscale L. 27 dicembre 2002, n. 289, ex art. 9, le Sezioni Unite di questa Corte, occupandosi della sorte dei pagamenti eseguiti che il contribuente, dopo avere aderito al cd. condono tombale, pretenda in restituzione ritenendoli indebiti, hanno stabilito che “la presentazione della relativa istanza preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d’imposta definite in via agevolata, ivi compreso il rimborso di imposte asseritamente inapplicabili per assenza del relativo presupposto (nella specie, IVA ritenuta deducibile in quanto la società contribuente esercitava attività medica in regime di esenzione); il condono, infatti, in quanto volto a definire transattivamente la controversia in ordine all’esistenza di tale presupposto, pone il contribuente di fronte ad una libera scelta fra trattamenti distinti, quali coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo eventualmente il rimborso delle somme indebitamente pagate, o corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto in via ordinaria” (Cass. S.U. n. 14828 del 05/06/2008; conf. Cass. n. 3682 del 16/02/2007; Cass. n. 6504 del 19/03/2007; Cass. n. 17142 del 24/06/2008; Cass. n. 1967 del 10/02/2012; Cass. n. 4566 del 06/03/2015);
6.2.5. della sorte dei crediti d’imposta in caso di definizione automatica in base alla L. n. 289 del 2002, art. 9, si è, invece, occupata Cass. S.U. n. 16692 del 06/07/2017, la quale, componendo un contrasto sorto all’interno della Sezione Tributaria e aderendo alla tesi maggioritaria, ha ritenuto che la preclusione dell’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria riguardi i soli debiti fiscali e non anche la sorte dei crediti d’imposta che il contribuente possa vantare nei confronti dell’Erario, crediti che restano soggetti all’eventuale accertamento da parte dell’Ufficio (conformi, a seguito dell’arresto nomofilattico, Cass. n. 32257 del 13/12/2018; Cass. n. 716 del 15/01/2019);
6.2.6. in proposito, le Sezioni Unite richiamano – a conforto della soluzione adottata, di carattere generale – proprio Cass. S.U. n. 5096 del 2016 e la legittimità della diversità di trattamento, in quel caso quanto all’applicazione dei termini decadenziali di accertamento, tra crediti e debiti dell’Amministrazione finanziaria;
6.3. non mancano, peraltro, argomenti a favore anche della tesi tradizionale;
6.3.1. deve, prima di tutto, richiamarsi la specificità dell’IVA rispetto agli altri tributi interni, trattandosi di risorsa propria della UE, il cui funzionamento è regolato dal rispetto del principio di neutralità dell’imposta: concedere all’Amministrazione finanziaria di contestare in ogni tempo l’esistenza del credito potrebbe determinare una lesione di tale principio, incidendo sul corretto funzionamento del meccanismo dell’assolvimento e della detrazione;
6.3.2. si noti che la specificità dell’IVA è stata già presa in considerazione da Cass. S.U. n. 16692 del 2017, cit., che, peraltro, ha ritenuto irrilevante la questione nel caso concreto, non applicandosi il condono cd. tombale all’imposta giusto quanto affermato da CGUE 17 luglio 2008, in causa C-132/06 (cfr. Cass. n. 2915 del 07/02/2013 e le altre sentenze richiamate dall’arresto delle Sezioni Unite);
6.3.3. posto che la previsione di una disciplina (tendenzialmente) unitaria per i rimborsi di tutti i tributi risponde ad esigenze di chiarezza e funzionalità di sistema, occorre dunque verificare in concreto se la dedotta specificità dell’IVA giustifica effettivamente la sussistenza di differenti modalità di rimborso;
6.3.4. in secondo luogo, sotto un profilo eminentemente pratico, la soluzione accolta da Cass. S.U. n. 5096 del 2016 finirebbe per procrastinare l’incertezza sull’esistenza dei crediti tributari (incertezza che proprio il termine di decadenza, diversamente previsto per le varie imposte, ha lo scopo di evitare, impedendo che il contribuente sia soggetto senza limiti di tempo all’azione accertatrice dell’Amministrazione finanziaria) e, come segnalato in dottrina, ad incidere in maniera considerevole anche sulla circolazione di detti crediti, tra i quali quelli concernenti l’IVA sono sicuramente i più numerosi;
7. le considerazioni che precedono giustificano l’opportunità di trasmettere gli atti al Primo Presidente della Corte di cassazione per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite.

P.Q.M.

La Corte ordina la trasmissione degli atti al Primo Presidente della Corte di cassazione affinché valuti l’opportunità di rimettere la causa alle Sezioni unite.
Si dà atto che il presente provvedimento è sottoscritto dal consigliere più anziano, T.G. , per impedimento del Presidente del Collegio e del Consigliere anziano estensore, ai sensi del D.P.C.M. 8 marzo 2020, art. 1, comma 1.

 

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