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Commento: I profili penali dell’omesso deposito delle scritture contabili dopo la dichiarazione di fallimento

Breve commento alla sentenza della Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 febbraio – 24 aprile 2020, n. 12929

La sentenza argomenta su due motivi, connessi all’omesso deposito delle scritture contabili a seguito della sentenza di fallimento.

La vicenda è narrata, sotto il profilo fattuale, in modo molto stringato e non è quindi agevole ricostruire l’esatta dinamica degli eventi.

Sotto un primo profilo, viene ribadito l’obbligo, da parte del fallito, del deposito – entro le 24 ore successive (sic) alla comunicazione della dichiarazione di fallimento – di cui all’art. 16, comma 3 L.F. e 49 L.F., della documentazione e ciò indipendentemente dal formale invito rivolto in tal senso da parte del Curatore (o degli degli organi della procedura concorsuale).

L’obbligo, secondo la pronuncia della S.C., risiede nel dettato di cui all’art. 220 l.f. il quale opera in via automatica e senza che si debba procedere ad ulteriori adempimenti da parte degli organi della procedura, non potendosi peraltro ritenere fondata l’ipotesi dell’errore sulla legge penale da parte dell’imprenditore. Nel caso in cui, come nella fattispecie esaminata, il Curatore nominato abbia reiteratamente rivolto inviti al fallito diretti al deposito documentale, tale aspetto riverbera i propri effetti sulla valutazione dell’elemento soggettivo in termini di dolo con conseguente applicazione della disciplina di cui all’art. 220 L.F., comma 1, non dovendosi al contrario ritenere applicabile l’ipotesi più lieve di cui a comma 2, relativa al comportamento colposo.

Da quanto emerge dalla ricostruzione dei fatti, il ricorrente aveva lamentato l’omesso controllo, da parte del Tribunale, circa l’avvenuta notifica della sentenza dichiarativa di fallimento e su tale presupposto aveva sostenuto l’applicabilità del comma n. 2, ravvisandosi errore colposo motivato dalla mancata conoscenza dell’obbligo del deposito.

Sul punto, la Corte ritiene la natura meramente asseriva del motivo, sul presupposto che l’imputato non ha “neppure dedotto l’omessa notifica della sentenza dichiarativa”.

Si potrebbe quindi ritenere che, qualora il ricorrente avesse provato di non avere mai ricevuto la notifica della dichiarazione di fallimento, avrebbe potuto beneficiare dell’ipotesi più lieve di cui al secondo comma: tale beneficio, tuttavia risulterebbe assorbito dalla successiva richiesta formulata dal Curatore, in relazione alla quale l’omesso deposito della documentazione farebbe emergere il comportamento doloso da parte del fallito, come sopra evidenziato.

In sostanza, secondo quanto ricavabile dalla lettura della prima parte della pronuncia, qualora la notifica della sentenza dichiarativa di fallimento sia andata a buon fine, l’imprenditore è tenuto al deposito entro i termini stabiliti all’art. 16 c. 3 L.F. ed il mancato rispetto di tali termini implicherebbe l’automatica applicazione del dettato di cui all’art. 220 comma 1 L.F.; qualora, invece, detta notifica non sia avvenuta, il fallito potrebbe beneficiare della ipotesi più lieve di cui all’art. 220 comma 2 L.F. almeno sino alle successive comunicazioni che dovessero pervenire in tal senso da parte degli organi della procedura.

In secondo luogo, risulta come la Corte di Appello avesse riqualificato la fattispecie (originariamente inserita nell’alveo dell’art. 217 comma 2 L.F.), nell’ambito del richiamato art. 220 comma 1 L.F. dando decisivo rilievo all’omesso deposito della documentazione nei termini di legge e non ponendo la propria attenzione sull’effettiva e corretta tenuta della contabilità (o del suo occultamento) da parte dell’imprenditore fallito.

Tale parte della sentenza può presentare caratteri di novità rispetto a precedenti pronunce sul tema, nelle quali la violazione dell’art. 220 L.F. è configurata come concorrente con quelle di cui agli arti. 216 e 217 L.F. (Cfr. Cassazione penale sez. V 28 febbraio 2017 n. 14846 ), “Il reato di inosservanza dell’obbligo di deposito delle scritture contabili, previsto dall’art. 220 l. fall., concorre con quelli di bancarotta fraudolenta documentale, di cui all’art. 216, comma 1, n. 2), l. fall. e di bancarotta semplice documentale, di cui all’art. 217, comma 2, l. fall., tutte le volte in cui la condotta di bancarotta non consista nella sottrazione, distruzione ovvero nella mancata tenuta delle scritture contabili, ma nella tenuta irregolare o incompleta delle stesse ovvero in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari“.

In altre pronunce poi, seppure più risalenti, la medesima fattispecie è stata ritenuta come assorbita dall’ipotesi cui all’art. 217 comma 2 (cfr. Cass. Cass. pen. n. 4550/2011), secondo la quale l’inosservanza dell’obbligo di deposito delle scritture contabili (artt. 16, n. 3, 220 R.D.) “deve ritenersi assorbita dalla fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale, commessa mediante sottrazione del compendio contabile, risultando del tutto omogenea la struttura e l’interesse sotteso ad entrambe le figure di reato, ma più specifica, in ragione dell’elemento soggettivo, la seconda“.

Conseguentemente, a mente dei precedenti orientamenti, l’applicazione dell’uno o dell’altro dettato normativo dovrebbe essere determinata in ragione non solo dell’omesso deposito dei bilanci e delle scritture contabili entro i termini di legge (come previsto all’art. 220 l.f.), ma anche della considerazione circa i motivi dell’omesso deposito.

Su questo punto, quindi, la sentenza pare affrontare la questione in termini innovativi.

Da ultimo, la pronuncia chiarisce che il reato in questione ha natura istantanea e, come tale, la consegna tradiva della documentazione ad opera del fallito opera con esclusivo riguardo all’applicazione delle circostanze attenuanti: per converso, deve ritenersi infondata la possibilità di ritenere il reato ad effetti permanenti, con le conseguenze da ciò derivanti in merito agli aspetti relativi alla continuazione del reato.

(Studio Legale Amatucci)

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 febbraio – 24 aprile 2020, n. 12929
Presidente Palla – Relatore Tudino

Ritenuto in fatto

1.Con sentenza del 13 settembre 2019, la Corte d’appello di Firenze ha, in riforma della decisione del Tribunale in sede del 17 aprile 2015, qualificato i fatti, originariamente ascritti come bancarotta semplice, ai sensi dell’art. 220 L. Fall. e rideterminato la pena irrogata a B.P. , nella qualità di amministratore di (omissis) s.r.l., dichiarata fallita il 29 agosto 2012.
2. Avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze ha proposto ricorso l’imputato, con atto a firma del difensore, Filippo Maria Bougleaux, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo, deduce vizi della motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità, sia riguardo l’antecedente logico e fattuale del reato – notifica della sentenza di fallimento – sia in merito agli elementi indiziari del dolo, mente la sentenza impugnata ha omesso di giustificare il primo profilo e, quanto all’elemento soggettivo, ha in toto trascurato di considerare l’ipotesi colposa, prevista alla L. Fall., art. 220, comma 2, rappresentando un percorso giustificativo illogico e contraddittorio tra la ritenuta irrilevanza della richiesta di consegna e gli indicatori invece valorizzati in punto di coscienza e volontà dell’obbligo inevaso.
2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio della motivazione in relazione all’incremento sanzionatorio disposto sulla pena base, in misura di un mese di reclusione, implicitamente evocativo della continuazione, in presenza di un’unica condotta omissiva permanente.

Considerato in diritto

Il ricorso è solo in parte fondato.
1.È inammissibilmente formulato il primo motivo di ricorso, con il quale si deduce vizio della motivazione riguardo l’affermazione di responsabilità per il reato di cui alla L. Fall., art. 220, ritenuto dalla Corte d’appello in luogo dell’originaria contestazione di bancarotta semplice documentale.
1.1. Il ricorrente lamenta l’omessa verifica dell’antecedente “logico-giuridico” della fattispecie, costituito dalla prova della notifica all’imputato della sentenza dichiarativa di fallimento, oltre alla mancata disamina degli indicatori del dolo, in luogo del criterio di imputazione soggettivo della responsabilità, a titolo di colpa, previsto dal comma 2 della norma incriminatrice richiamata.
Sennonché il primo rilievo è meramente assertivo, non avendo il ricorrente neppure dedotto l’omessa notifica della sentenza dichiarativa, lamentando, invece, la mancata verifica ex officio del predetto requisito, che non risulta rappresentato neanche al curatore, ed è anzi smentito dalla invocata mancanza di comprensione degli obblighi di legge facenti capo al fallito, sul quale il ricorso insiste e che postula, all’evidenza, la conoscenza del fallimento.
Quanto alla seconda censura, il ricorrente segnala un profilo di contraddittorietà della motivazione tra l’affermata irrilevanza della richiesta del curatore, rispetto alla violazione degli adempimenti di cui alla L. Fall., art. 16, e la ritenuta inottemperanza agli obblighi di consegna, nonostante i numerosi solleciti rivolti all’imputato, che – diversamente da quanto dedotto – esprime, nell’apparato giustificativo della sentenza, proprio il fondamento doloso dell’omissione, come in concreto verificata.
1.2. Invero, il reato previsto dalla L. Fall., art. 220 e art. 16, comma 2, n. 3, sussiste qualora, entro ventiquattro ore dalla comunicazione della sentenza dichiarativa di fallimento, il fallito non ottemperi all’ordine di deposito dei bilanci e delle scritture contabili contenuto nella stessa sentenza, dovendo escludersi che per la configurabilità del reato sia necessaria una espressa richiesta ovvero un invito al deposito da parte degli organi della procedura concorsuale (Sez. 5, n. 42618 del 24/09/2004, Lubrano, Rv. 229903), trattandosi di obbligo imposto dalla legge, rispetto al quale non si configura l’inevitabilità dell’errore sulla legge penale, quando l’agente svolga una attività in uno specifico settore rispetto alla quale ha il dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente (Sez. 5, n. 22205 del 26/02/2008, Ciccone, Rv. 240440, che richiama Corte Cost. n. 364 del 1988).
Donde la sollecitazione degli organi della curatela, rimasta inevasa, viene a costituire un elemento ulteriore, rispetto al momento consumativo del reato, che qualifica l’elemento soggettivo, sostanziando il dolo in termini di coscienza e volontà dell’omissione.
Nel caso in disamina, la Corte territoriale ha, in altri termini, correttamente rilevato come, ai fini dell’integrazione del reato, rilevi la mera inosservanza agli obblighi di legge, ma quando – come nella specie – risulti che l’adempimento ai predetti obblighi sia stato anche sollecitato, con specifica richiesta regolarmente comunicata, la fattispecie viene a delinearsi nella forma dolosa, con conseguente manifesta infondatezza del rilievo articolato sul punto.
2. È, invece, fondato il secondo motivo.
2.1. Il reato di omesso deposito delle scritture costituisce reato omissivo proprio unitario, che punisce la condotta inosservante delle prescrizioni sancite dalla L. Fall., art. 16, quale che sia la consistenza ed il riferimento cronologico della contabilità.
In ordine alla natura della fattispecie, invero, la stessa deve ricostruirsi – in linea con quanto opinato anche da autorevole dottrina – come reato proprio istantaneo, con effetti eventualmente permanenti, consolidandosi l’omissione all’atto dell’inosservanza; con la conseguenza per cui – come supra rilevato – l’eventuale consegna postuma della contabilità non assume efficacia interruttiva di una condotta permanente, bensì rileva in ordine ai profili circostanziali del fatto.
Siffatta ricostruzione si pone in linea di continuità con l’orientamento ermeneutico che riconosce il concorso di reati tra la fattispecie in disamina e le ipotesi di bancarotta documentale, semplice e fraudolenta, a condizione che le scritture siano state istituite (V. Sez. 5, n. 49789 del 25/06/2013, Cinquepalmi, Rv. 257829; Sez. 5, n. 16744 del 13/02/2018, Di Candido, Rv. 272684).
Non si ritiene, pertanto, condivisibile la risalente ed isolata opinione, secondo cui il reato di cui alla L. Fall., art. 220, ha carattere permanente, la cui consumazione si protrae sino al tardivo adempimento dell’obbligo o all’emanazione della sentenza di condanna, anche non irrevocabile (Sez. 5, n. 9395 del 04/06/1998, Annunziata, Rv. 211448).
Deve, pertanto, affermarsi come la fattispecie prevista dalla L. Fall., artt. 16 e 220 integri un reato omissivo proprio, la cui consumazione si risolve nell’inadempimento all’obbligo di legge, ad effetti solo eventualmente permanenti.
2.2. Ne consegue come del tutto impropriamente sia stata, nel caso di specie, ritenuta la pluralità dei reati in relazione alle annualità a cui si riferiva la contabilità di cui è stata omessa la consegna, e la conseguente applicazione della disciplina della continuazione, in presenza di un’unica violazione, penalmente rilevante.
La sentenza impugnata deve essere, pertanto, sul punto annullata senza rinvio, limitatamente all’incremento sanzionatorio applicato ex art. 81 cpv. c.p..

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’aumento di pena di mesi uno di reclusione ex art. 81 c.p., aumento che elimina. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso’4

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