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Solamente l’avvenuto adempimento dell’obbligazione tributaria da parte del contribuente impedisce la confisca dei beni.

Cassazione penale sez. III, 26/06/2019, (ud. 26/06/2019, dep. 04/10/2019), n.40793
Fatto

RITENUTO IN FATTO

Il Tribunale di Livorno, in funzione di giudice del riesame dei provvedimenti cautelari reali, ha, con ordinanza del 20 marzo 2019, respinto l’appello avverso la conferma del sequestro preventivo dei beni mobili ed immobili, finalizzato alla confisca per equivalente, emesso, nel corso delle indagini in materia di reati fiscali, dal Gip del locale Tribunale in danno di D.G.L., in qualità di legale rappresentante di Eurospedi Srl, e finalizzato alla confisca diretta dei beni della detta Eurospedi sino alla concorrenza della somma di Euro 1.362.501,00.

Il Tribunale riferisce che la Eurospedi ha raggiunto un accordo con l’Agenzia delle entrate in ordine alla somma da recuperare da parte di questa a titolo di Iva non corrisposta, essendo stata questa indicata in Euro 1.624.000,00.

La Società ed il G., pertanto, hanno chiesto al Gip, in applicazione del D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 12-bis ed essendo già stata versata la prima rata del piano di rientro, pari ad Euro 41.322,27, la revoca del sequestro, posto che l’accordo raggiunto con l’Agenzia delle entrate si atteggia come ostativo alla confisca.

Avendo il Gip rigettato la predetta richiesta sia Eurospedi che il D.G. hanno presentato ricorso in appello al Tribunale del riesame che con la ordinanza ora in discorso lo ha rigettato osservando che la disposizione invocata dai ricorrenti non è preclusiva della possibilità di mantenere, od anche di disporre, il sequestro preventivo, posto che la stessa impedisce semplicemente la eventuale confisca del profitto del reato, ma solamente in esito al positivo assolvimento dell’impegno assunto dal contribuente nei confronti della Agenzia.

Il Tribunale ha altresì rilevato che neppure era possibile disporre la riduzione del sequestro; infatti, per un verso, visto l’importo della somma concordata fra Fisco e contribuente, pari ad oltre 1.600.000,00 Euro, il pagamento della prima rata del piano di ammortamento, era tale da non comportare la riduzione della somma dovuta al di sotto del valore dei beni sequestrati.

Mentre, per altro verso, neppure poteva essere accolta la richiesta di riduzione del debito fiscale per effetto dell’avvenuta rinunzia ad un credito IVA vantato da Eurospedi per Euro 1.000.000,00, posto che l’effetto ablativa di tale parte di debito si realizzerà solo in occasione del definitivo adempimento dell’accordo con il Fisco; ad ogni modo, ha aggiunto il Tribunale, dovendosi computare, in quanto previsti nei vari atti di adesione, anche gli interessi per i pagamenti rateali e le sanzioni in caso di mancato adempimento dell’accordo, al momento non è sufficientemente preciso l’ammontare del debito residuo, sicchè non vi sono le ragioni per la riduzione dell’ammontare in sequestro.

Avverso la predetta ordinanza hanno interposto ricorso per cassazione sia la Eurospedi srl in persona del suo legale rappresentante, che il D.G., articolando 4 comuni motivi di ricorso.

Il primo attiene alla errata applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis come introdotto a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015; al riguardo il ricorrente, richiamando una recente sentenza di questa Corte, la n. 32213 del 2018, ha rilevato che la inoperatività della confisca per la parte di debito tributario che il contribuente si impegna a versare, deve intendersi come ostativo anche alla conservazione del sequestro.

Con il secondo motivo di ricorso i ricorrenti hanno dedotto la inesistenza della motivazione della ordinanza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto di discostarsi dal precedente costituito dalla sentenza n. 31213 del 2018.

Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione di legge, riferita al D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, commi 2 e 3, in cui sarebbe incorso il Tribunale nel non ritenere già scomputabile dalla somma in sequestro il credito Iva per 1.000.000,00 di Euro non più rimborsabili in favore della società ricorrente per effetto dell’accertamento con adesione intercorso fra il Fisco e la società ricorrente.

Con il quarto motivo, infine, è lamentata, sempre con riferimento alla violazione di legge, la valutazione, ai fini della determinazione del possibile debito tributario suscettibile di costituire il profitto del reato e pertanto confiscabile, degli interessi e delle possibili sanzioni in caso di inadempimento dell’accordo intervenuto con il fisco.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTOI ricorsi, aventi contenuti fra loro sovrapponibili e, pertanto da esaminare sulla base di identiche valutazioni, sono, nel loro complesso, infondati e, pertanto, gli stessi devono essere rigettati.

I primi due motivi di impugnazione possono essere congiuntamente esaminati data la loro stretta correlazione contenutistica.

Con essi i ricorrenti hanno censurato la ordinanza impugnata in quanto, secondo l’avviso dei medesimi, il Tribunale labronico, per un verso, avrebbe erroneamente applicato, confermando il provvedimento di sequestro emesso a carico della Eurospedi Srl, il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, comma 2, come introdotto a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. n. 158 del 2015, nella parte in cui esso prevede che la confisca, quale misura di sicurezza patrimoniale connessa ai provvedimenti di condanna o di applicazione della pena per uno dei delitti previsti dal ricordato D.Lgs. n. 74 del 2000, non opera per la parte che il contribuente si sia impegnato a versare all’Erario anche in presenza di sequestro, mentre, per altro verso, l’ordinanza impugnata sarebbe censurabile in quanto il medesimo Tribunale, nel provvedere nel senso sopra indicato, avrebbe, in termini sostanzialmente assertivi e non motivati, dichiarato di non ritenere pertinente al caso in esame il principio di diritto affermato da questa Corte con la sentenza n. 32213 del 2018, considerata la diversa situazione fattuale nella quale si versava in relazione a detta sentenza.

Si tratta di motivi ambedue privi di fondamento.

Con riferimento al primo ritiene questa Corte che i ricorrenti, nel dare l’interpretazione alla disposizione da loro evocata, cioè il D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12 bis, comma 2 di cui al ricorso abbiano travalicato i limiti di una corretta esegesi normativa, attribuendo alla disciplina dettata dalla disposizione in questione uno spettro applicativo che le è del tutto estraneo.

Come è stato, infatti, ribadito da questa Corte proprio con il provvedimento richiamato da parte dei ricorrenti – il quale a sua volta rimanda ad altre precedenti pronunzie di questa medesima Corte che sono tuttora condivise e che segnalano la disposizione sopra citata siccome espressiva di un atteggiamento di favor del legislatore per le forme di definizione del profilo strettamente tributario delle vicende connesse alla violazione delle disposizioni penali di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 che consentano comunque all’Erario di conseguire il pagamento delle imposte ritenute dovute, in materia di confisca di beni costituenti il profitto o il prezzo di reati tributari – la previsione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, comma 2, introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015, secondo la quale, anche in caso di condanna o di applicazione della pena concordata, la confisca, diretta o per equivalente, “non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all’erario anche in presenza di sequestro”, si riferisce alle assunzioni d’impegno nei termini riconosciuti e ammessi dalla legislazione tributaria di settore, ivi compresi gli accertamenti con adesione, le conciliazioni giudiziali, le transazioni fiscali ovvero l’attivazione di procedure di rateizzazione automatica o a domanda (Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 luglio 2018, n. 31213, la quale a sua volta rimanda a Corte di cassazione, Sezione III penale, 7 luglio 2016, n. 28225).

Ritiene tuttavia il Collegio che, seppure la citata sentenza potrebbe apparire equivoca, ad una lettura superficiale, laddove in essa ci si riferisce ad un principio operante anche in caso di mero “intervenuto raggiungimento di forme di accordo, conciliazione o transazione fiscale fra il contribuente e la Agenzia delle entrate”, essendo esso, a fortiori, “operante laddove non di solo impegno ad adempiere alla obbligazione tributaria si tratti ma, come nel caso di specie, di effettivo adempimento di essa, comprensivo di interessi e sanzioni” (Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 luglio 2018 n. 32213), deve osservarsi che il riferimento al semplice raggiungimento dell’accordo come fattore giuridicamente rilevante, va inteso non nel senso che di per sè esso è ostativo alla successiva confisca, ma nel senso che esso è semplicemente tale da comportare la quantificazione nella misura concordata, sulla base sostanzialmente negoziale definita fra contribuente ed Agenzia, dell’eventuale profitto scaturito dall’avvenuta commissione del reato.

L’effetto impeditivo della confisca, invece, potrà essere un portato dell’avvenuto adempimento dell’obbligazione tributaria da parte del contribuente, secondo i termini ed i modi convenuti nelle citate sedi negoziali.

Costituisce indice di tale interpretazione la disposizione contenuta nell’ultimo periodo del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis ove si precisa che, in caso di mancato versamento delle somme che il contribuente si è impegnato a versare in forza dei citata accordi con l’Erario, la confisca è sempre disposta, con il che risulta chiaro che l’accordo in discorso non estingue il potere di confisca, ma semplicemente ne sospende la possibilità di esecuzione; siffatta possibilità sarà definitivamente rimossa solo in occasione dell’avvenuto adempimento, nei modi e termini sopra ricordati, dell’obbligazione tributaria.

Ed ecco, allora, come giustamente inconferente rispetto al caso ora in questione è stato ritenuto dal Tribunale di Livorno il precedente giurisdizionale evocato dai ricorrenti, considerato che, nel caso allora sottoposto all’attenzione di questa Corte, l’obbligo tributario a carico dell’allora indagato era stato integralmente adempiuto, sia pure nella misura ritenuta dovuta dall’Agenzia delle entrate, inferiore a quella invece ritenuta in sede penale.

Nel caso in esame, invece, l’obbligazione tributaria gravante sulla Eurospedi, nella misura definita in sede di accordo con l’Agenzia delle entrate, ancora non è stata adempiuta, se non che nella misura, all’epoca del ricorso, di una sola rata del piano di rientro convenuto con l’Amministrazione.

Va, peraltro, aggiunto che, comunque la disposizione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis, comma 2, anche ove sia interpretata nel senso di inibire, in caso di accordi intervenuti fra il contribuente e l’Agenzia delle entrate, la confisca del profitto o del prezzo del reato costituente violazione di una delle disposizioni contenute nel medesimo decreto legislativo ovvero, come di recente è stato ritenuto da questa Corte, di rendere ineseguibile il provvedimento ablatorio adottato in caso di condanna per uno dei predetti reati, producendo esso i suoi effetti solo in caso di mancato pagamento del debito tributario (Corte di cassazione, Sezione III penale, 8 febbraio 2019, n. 6246), non costituisce in ogni caso ostacolo alla adozione del provvedimento cautelare prodromico all’eventuale successiva confisca, posto che, come si è visto, questa non è in radice esclusa ma lo è solo in caso di adempimento da parte del contribuente della obbligazione tributaria su di lui gravante.

Considerato che la finalità del sequestro preventivo può anche essere quella di assicurare l’effettività della successiva, possibile, confisca, risulta allora evidente che, fintanto che la predetta obbligazione del contribuente indagato non sia stata integralmente eseguita è, in linea di principio, adottabile un provvedimento del tipo di quello ora impugnato.

In tale senso, peraltro, milita anche il dato testuale, contenuto nella norma invocata dai ricorrenti, ove in essa si legge che “la confisca non opera (…) anche in presenza di sequestro”, senza che il legislatore abbia provveduto a chiarire, come sarebbe stato logico ritenere ove l’accordo intervenuto fra contribuente ed Erario avesse avuto, così come, invece, ritenuto dal ricorrenti, effetti preclusivi anche sul mantenimento del sequestro in corso, che esso andava, in tali evenienze, revocato.

Sulla base dei rilievi esposti il ricorso avverso il provvedimento impugnato è, pertanto, limitatamente ai primi due motivi di impugnazione, infondato.

Venendo agli altri due restanti motivi di impugnazione proposti dai ricorrenti osserva la Corte, quanto al primo di essi, che lo stesso è inammissibile; infatti con esso i ricorrenti, in sostanza, hanno lamentato il fatto che il Tribunale del riesame non abbia considerato in sede di quantificazione del valore dei beni in sequestro, commisurato al valore del profitto del reato in provvisoria contestazione, e quindi di, quanto meno, parziale revoca del sequestro disposto, il fatto che la Eurospedi abbia rinunziato al rimborso di un cospicuo credito Iva da essa vantato.

Sul punto è sufficiente richiamare il principio, che qui si ribadisce, già in passato affermato da questa Corte secondo il quale, la revoca parziale del sequestro preventivo finalizzato alla confisca del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, nel caso di intervenuta rateizzazione del debito tributario, deve essere richiesta dall’interessato al Pm, previa dimostrazione del quantum corrisposto per i ratei di imposta al netto di interessi e sanzioni, mentre non può essere domandata, in difetto di tali indicazioni, al Tribunale del riesame o dell’appello cautelare, essendo tale organo sprovvisto di potere istruttori e, quindi, salvi i casi di immediata soluzione sulla base degli atti, non in condizione di dirimere le questioni contabili derivanti dal pagamento parziale (Corte di cassazione, Sezione III penale, 30 luglio 2015, n. 33602).

Nel caso in esame appare che la richiesta in questione – chiaramente priva almeno in questa sede, del requisito della immediata soluzione – non sia stata preventivamente rivolta al Pm, sicchè la medesima, sostanzialmente volta a far valere una parziale compensazione fra le parti, quindi una causa di parziale estinzione della obbligazione tributaria i cui effetti non divergono sostanzialmente da un parziale adempimento, deve, ora, essere ritenuta inammissibile.

Infondato è, infine, anche il quarto motivo di impugnazione, riguardante la quantificazione del valore sequestrabile, pari al profitto derivante dal reato; con riferimento ad esso, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, vanno computate anche le sanzioni e gli interessi che il contribuente moroso è tenuto a versare all’Erario, costituendo tale fattori, non un costo per il contribuente, come sostenuto dalla difesa dei ricorrenti, ma un elemento integrante il profitto, posto che questo, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è costituito in qualsivoglia risparmio di spesa derivante dal mancato pagamento delle imposte e degli altri debiti accessori, ivi compresi anche quelli relativi agli interessi nel frattempo maturati ed alle sanzioni irrogate (Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 marzo 2013, n. 11836; idem Sezione V penale, 17 gennaio 2012, n. 1843).

I due ricorsi devono, pertanto, essere rigettati ed i ricorrenti vanno, di conseguenza, condannati, visto l’art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.

PQM

P.Q.M.Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 ottobre 2019

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