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Commento: la correlazione tra compensazione legale ed il reato di omesso versamento IVA

CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 giugno 2020, n. 17806

La sentenza richiamata merita attenzione, in quanto nega in radice la applicabilità dell’art. 13 D. Lgs 74/2000, e quindi la non punibilità della contestata condotta (nella fattispecie, di omesso versamento Iva ex art. 10- ter del medesimo Decreto), qualora l’estinzione del debito vantato dall’Erario sia effettuata tramite compensazione legale e non tramite effettivo pagamento del dovuto (oltre sanzioni ed interessi).

Prima di affrontare il punto sopra evidenziato, la sentenza argomenta (ribadendo i principi già espressi dagli indirizzi maggioritari della S.C.), circa l’obbligatorietà del versamento Iva indipendentemente dalla effettiva corresponsione della stessa da parte del destinatario della fattura, e si allinea con le pronunce più rigorose circa la insussistenza di causa di forza maggiore in presenza di crisi di liquidità.

Sotto il primo profilo, infatti, la sentenza argomenta:”Va anzitutto premesso che, come correttamente argomentato dalla sentenza impugnata, l’obbligo di indicazione nella dichiarazione e di versamento della relativa imposta non deriva, nel segno di un costante orientamento di questa Corte, dall’effettiva riscossione del corrispettivo, ma dalla emissione, quand’anche antecedente a tale riscossione, della fattura (da ultimo Sez. 3, n. 41070 del 27/06/2019, Felisio, Rv. 277939; Sez. 3, n. 6220 del 23/01/2018, Ventura, Rv. 272069); sicché appaiono manifestamente infondate le argomentazioni in ricorso che, sia pure sotto il profilo dell’elemento soggettivo, a tale mancata riscossione continuano a fare riferimento onde pretendere di escludere il reato.”

Sotto il secondo, profilo, come accennato, la sentenza si adagia su impostazione rigoristica, relativa alla valutazione dell’elemento soggettivo del reato (secondo l’ipotesi difensiva, insussistenza della suitas della condotta in presenza di carenza di liquidità), pretendendosi il sacrifico del patrimonio personale del contribuente e non essendo sufficiente la dimostrazione dell’insorgere improvviso della crisi economica: “Quanto poi alla dedotta impossibilità di far fronte al versamento in ragione della crisi di liquidità, anche in tal caso correttamente la sentenza ha evidenziato, nel solco del costante indirizzo di questa Corte, la necessità di assolvere, da parte dell’interessato, a puntuali oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della improvvisa crisi economica, ma anche quello della necessità di adottare le misure idonee a fronteggiarla, anche attingendo al proprio personale patrimonio (si vedano, tra le tante, Sez.3, n. 20266 del 08/04/2014, P.G. in proc. Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 5467/14 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055); in tale ambito la sentenza ha quindi fatto riferimento alle risultanze dell’istruzione dibattimentale relative, da un lato, ad una generica crisi d’impresa, come riferita dai testi a discarico e, dall’altro, alla scelta imprenditoriale di pagare le scadenza più imminenti trascurando i debiti erariali, tale fatto, anzi dimostrando, comunque, la suitas della condotta e la mancanza, inoltre, di qualsiasi causa di forza maggiore”.

Per quanto concerne, invece, il terzo punto trattato, relativo alla applicabilità del richiamato art. 13 D. Lgs 74/2000, la pronuncia della Suprema Corte ha ritenuto non conforme al dettato della richiamata norma l’invocata estinzione del debito vantato dall’Erario, se attuata tramite compensazione legale e non tramite pagamento.

Sul punto, la sentenza ha statuito che “il dettato dell’art. 13 cit., che fa espresso riferimento al “pagamento”, in esso includendo anche ipotesi specifiche derivanti da istituti di natura conciliativa, non consente di includervi l’ipotesi della compensazione legale che, come noto, rientra, per espressa qualificazione del codice civile, tra i “modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento”, ovvero, in altri termini, diversi proprio dal pagamento.”

L’arresto della S.C. sul punto, quindi, sorge da interpretazione letterale della norma in esame, la quale, al comma 1, recita:

I reati di cui agli articoli 10 bis, 10 ter, 10 quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all’accertamento previste dalle norme tributarie, nonché del ravvedimento operoso.”

Tale impostazione sembra tuttavia, come osservato da taluni autori (Cfr. F. Gallio, Il Fisco 29/2020, p. 2884) in contrasto con la prassi adottata dalla A.E. tramite la quale si è chiarito che la compensazione è da ritenersi “satisfattiva degli interessi dell’Erario” anche se ritenuta modalità di estinzione della obbligazione tributaria diversa dall’adempimento, nonché in riferimento all’art. 8 dello Statuto del Contribuente, nel quale viene ammessa la possibilità della estinzione della obbligazione tramite compensazione.

Al di là quindi della stringente interpretazione del testo normativo operata in sentenza, occorre a parere di chi scrive considerare che il bene tutelato dall’art. 10 ter D. Lgs 74/2000 è identificabile con la tutela degli interessi economici dell’Erario: se è vero che la “forzata” introduzione dei delitti relativi all’omesso versamento nel corpus del citato Decreto, ha infatti determinato la punibilità di comportamenti omissivi (coincidenti con il mancato puntuale regolamento delle somme), rispetto ai quali la condotta ristoratrice è costituita, nella maggior parte dei casi, dall’effettiva corresponsione di ciò che si è omesso di versare in un primo momento, appare d’altra parte discutibile negare che tale ristoro non possa essere effettuato tramite compensazione, specialmente nei casi in cui la natura dei reciproci crediti sia perfettamente omogenea e la consistenza dei medesimi non sia contestabile.

L’interpretazione puramente letterale fornita dalla S.C., in sostanza, appare ignorare l’ampio raggio di applicabilità dell’art. 13 in riferimento alle “procedure conciliative e di adesione”, nell’ambito delle quali l’autonomia delle parti (fisco e contribuente) nella gestione del contenzioso gioca un ruolo determinante anche attraverso il riconoscimento di reciproche argomentazioni e pretese (tra le quali ben potrebbe rientrare la applicabilità del meccanismo della compensazione per i motivi sopra accennati), in ragione di che l’effettivo esborso di somme da parte del contribuente potrebbe risultare ridotto od addirittura inesistente.

Su tale ultimo punto, quindi, è auspicabile un intervento interpretativo sostanzialmente diverso da parte delle successive pronunce di legittimità.

(Studio Legale Amatucci)

 

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 giugno 2020, n. 17806
Accertamento – Imposte indirette – IVA – Dichiarazione annuale – Violazioni – Sanzioni penali
Ritenuto in fatto

1. M.T. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte di Appello de L’Aquila del 27/02/2019, con cui è stata confermata la sentenza del Tribunale di Chieti che aveva condannato l’imputato alla pena finale di mesi quattro di reclusione, oltre alle sanzioni accessorie ed al pagamento delle spese processuali, per il reato di cui all’art. 10 ter del d.lgs. n. 74 del 2000 perché, nella qualità di legale rappresentante della S.A.A., ometteva di versare nei termini di legge l’IVA, nella misura di euro 2.029.939,00, dovuta in base alla dichiarazione annuale 2010 per l’anno d’imposta 2011.

2. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 10 ter del d.lgs. n. 74 del 2000, per avere, la Corte territoriale, omesso di motivare in merito alla sussistenza di penale responsabilità in capo al ricorrente, adagiandosi apoditticamente sul quadro argomentativo del giudice di prime cure.

2. Con il secondo motivo di ricorso deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 10 ter del d.lgs. cit., avendo il giudice erroneamente interpretato la fattispecie dell’omesso versamento considerando che l’elemento soggettivo del reato potesse determinarsi con riferimento a condotte cronologicamente antecedenti al momento consumativo del reato, esclusivamente rappresentato dall’omesso versamento.

Nello specifico, si deduce che la norma sanziona non l’omesso accantonamento dell’Iva incassata, come si evince dalla motivazione della sentenza, ma l’omesso versamento alla scadenza finale indipendentemente da ciò che il contribuente avrebbe potuto fare precedentemente, per ragioni di opportunità o convenienza e non per obbligo di legge.

Sicché è solo rispetto a tale momento, e non al mancato accantonamento, che va verificato se il contribuente si sia rappresentato l’omesso versamento e lo abbia voluto.

3. Con il terzo motivo di ricorso eccepisce il travisamento della prova, l’omessa motivazione nonché l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 10 ter del d. Igs. n.74 del 2000.

La Corte ha infatti travisato il motivo difensivo relativo al mancato incasso dell’Iva, valorizzato non per sostenere la insussistenza della condotta materiale, bensì il mancato perfezionamento dell’elemento psicologico, stante appunto il mancato incasso di somme che non avrebbero potuto essere accantonate e versate alla scadenza del termine previsto dalla norma penale.

4. Con il quarto motivo deduce il travisamento della prova, l’omessa motivazione e la violazione degli artt. 10 ter cit., 41 e 45 cod. pen. quanto alla ritenuta irrilevanza della crisi di impresa invocata al momento della scadenza per mancati pagamenti, essendosi invece accertato: che la crisi aveva avuto lunga durata; che effettivamente vi era stata una contrazione del mercato e degli incassi; che sempre la crisi era dovuta ad iniziative cautelari dell’Agenzia delle entrate che avevano determinato l’accesso a flussi finanziari delle banche, in tal modo essendo stata provata una causa di forza maggiore.

5. Con il quinto motivo deduce il travisamento della prova, l’omessa motivazione e la violazione degli artt. 10 ter cit., 41 e 45 cod. pen. quanto all’affermazione della sentenza circa il fatto che l’avvenuto pagamento degli stipendi avrebbe escluso di per sé la forza maggiore in quanto indicativo della suitas della condotta. Richiama, a conforto, sentenza della stessa Corte territoriale che, con riferimento al periodo di imposta 2010, avrebbe riconosciuto l’insussistenza del dolo proprio in relazione all’intento di superare la crisi aziendale e di salvaguardare l’impresa perseguito con detto pagamento. Né si sarebbe tenuto conto della richiesta, accolta, di rateizzazione di debiti fiscali già scaduti, quale indice della non volontaria sottrazione al versamento dell’Iva.

6. Con il sesto motivo deduce l’inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 13 del d. Igs. n. 74 del 2000 in relazione all’art. 2, comma 4, cod. pen. quanto alla ritenuta non applicabilità della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 13 cit.

In particolare, per effetto della compensazione di diritto delle rispettive poste debitorie di contribuente ed Erario, avrebbe dovuto dichiararsi, in applicazione di orientamento di legittimità (di cui alla sentenza n. 37083 del 2018) la estinzione del debito erariale in conseguenza dell’applicazione della causa di esclusione della punibilità, non ostandovi il superamento del limite temporale della dichiarazione di apertura del dibattimento, in quanto la correlativa udienza sarebbe intervenuta prima della introduzione della causa di non punibilità del predetto art.13. Nella specie, inoltre, la causa estintiva, a seguito della compensazione già ricordata, sarebbe maturata nel corso del giudizio, ovvero il 28/3/2017, essendo dunque illegittima la pronuncia di affermata tardività della stessa.

Considerato in diritto

1. Il primo motivo, con cui si invoca il difetto di motivazione della sentenza impugnata per avere la stessa aderito acriticamente a quella di primo grado, è inammissibile per genericità, essendosi limitata la censura a prospettare, senza alcun concreto riferimento, una rielaborazione acritica e, pertanto, immotivata, da parte della sentenza impugnata, delle argomentazioni del Tribunale, rielaborazione che, peraltro, laddove si voglia comunque esaminare il contenuto della sentenza impugnata, non trova alcun fondamento nella specie avendo i giudici della Corte territoriale risposto puntualmente e specificamente a tutte le censure a suo tempo sollevate con l’atto di appello.

2. I motivi di ricorso dal secondo al quinto, tutti relativi alla pretesa impossibilità di adempiere il debito tributario, sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo del reato sia sotto quello della forza maggiore, e, dunque, congiuntamente esaminabili, sono complessivamente infondati.

Va anzitutto premesso che, come correttamente argomentato dalla sentenza impugnata, l’obbligo di indicazione nella dichiarazione e di versamento della relativa imposta non deriva, nel segno di un costante orientamento di questa Corte, dall’effettiva riscossione del corrispettivo, ma dalla emissione, quand’anche antecedente a tale riscossione, della fattura (da ultimo Sez. 3, n. 41070 del 27/06/2019, Felisio, Rv. 277939; Sez. 3, n. 6220 del 23/01/2018, Ventura, Rv. 272069); sicché appaiono manifestamente infondate le argomentazioni in ricorso che, sia pure sotto il profilo dell’elemento soggettivo, a tale mancata riscossione continuano a fare riferimento onde pretendere di escludere il reato.

Quanto poi alla dedotta impossibilità di far fronte al versamento in ragione della crisi di liquidità, anche in tal caso correttamente la sentenza ha evidenziato, nel solco del costante indirizzo di questa Corte, la necessità di assolvere, da parte dell’interessato, a puntuali oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilità al contribuente della improvvisa crisi economica, ma anche quello della necessità di adottare le misure idonee a fronteggiarla, anche attingendo al proprio personale patrimonio (si vedano, tra le tante, Sez.3, n. 20266 del 08/04/2014, P.G. in proc. Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 5467/14 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055); in tale ambito la sentenza ha quindi fatto riferimento alle risultanze dell’istruzione dibattimentale relative, da un lato, ad una generica crisi d’impresa, come riferita dai testi a discarico e, dall’altro, alla scelta imprenditoriale di pagare le scadenza più imminenti trascurando i debiti erariali, tale fatto, anzi dimostrando, comunque, la suitas della condotta e la mancanza, inoltre, di qualsiasi causa di forza maggiore.

A fronte di ciò il ricorrente si è sostanzialmente limitato a reiterare le doglianze poste con l’atto di appello, compiutamente disattese dalla sentenza impugnata anche, ancora una volta senza alcun riferimento all’intervenuta allegazione di dette circostanze.

Né è esatto che la sentenza impugnata abbia indebitamente anticipato la consumazione del reato ad un momento anteriore rispetto a quello del mancato versamento dell’Iva dovuta, avendo invece, in coerenza con gli indirizzi appena ricordati, valutato appunto, sotto il profilo della prova dell’elemento psicologico, la mancata allegazione delle circostanze appena sopra ricordate.

3. Il sesto motivo è inammissibile.

La doglianza proposta, con cui si lamenta la mancata applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 13 del d.lgs. n. 74 del 2000, muove dal presupposto implicito, ed anzi dato “per scontato”, secondo cui la “compensazione di diritto” del debito Iva con crediti del contribuente, che nella specie sarebbe intervenuta, sarebbe tale da integrare la nozione di “integrale pagamento” dei debiti tributari di cui all’art. 13 cit.

Tale aspetto, logicamente precedente rispetto ad ogni altro, ed in particolare, alla questione della tardività o meno del pagamento rispetto alla entrata in vigore del novellato art.13 in rapporto alla dichiarazione di apertura del dibattimento, va dunque esaminato prioritariamente.

Sul punto deve allora ritenersi che la compensazione invocata dal ricorrente non sia funzionale all’applicabilità della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 13.

Va anzitutto escluso, in generale, che la compensazione di diritto, ove maturata prima della scadenza dell’obbligo di versamento dell’Iva, sia idonea ad estinguere in radice il debito stesso sicché non potrebbe parlarsi, evidentemente, ai sensi dell’art. 13, del pagamento di un debito che sarebbe, già di per sé, inesistente.

In secondo luogo, e muovendo allora dall’ipotesi che, invece, la compensazione di specie sia maturata (come parrebbe ricavabile dalla sentenza impugnata, che fa riferimento a crediti per il periodo d’imposta 2016) successivamente alla scadenza dell’obbligo di versamento, va rilevato che il dettato dell’art. 13 cit., che fa espresso riferimento al “pagamento”, in esso Includendo anche ipotesi specifiche derivanti da istituti di natura conciliativa, non consente di includervi l’ipotesi della compensazione legale che, come noto, rientra, per espressa qualificazione del codice civile, tra i “modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento”, ovvero, in altri termini, diversi proprio dal pagamento.

In definitiva, dunque, anche a volere accogliere la prospettiva da cui muove il ricorrente, va esclusa in radice la applicabilità dell’art.13 cit. ancor prima e indipendentemente dalla questione di carattere “intertemporale”.

Il ricorso va dunque rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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