Scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard e ripartizione degli oneri probatori
Corte di Cassazione, sez. V Civile – T, ordinanza 29 gennaio – 26 marzo 2020, n. 7540
Presidente Manzon – Relatore Antezza
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate (“A.E.”) ricorre, con due motivi, per la cassazione della sentenza, indicata in epigrafe, di rigetto dell’appello dalla stessa proposto avverso la sentenza n. 404/09/2009 emessa dalla CTP di Caserta che, a sua volta, accolse l’impugnazione dell’avviso di accertamento IVA e IRAP con il quale vennero recuperati a tassazione (a fini IVA e imposte dirette) maggiori ricavi in applicazione degli studi di settore.
2. Per quanto ancora rileva nel presente giudizio, la Commissione regionale, facendo riferimento dichiaratamente ella giurisprudenza di legittimità in materia (anche a Sezioni Unite), ritenne nella specie “non applicabili i coefficienti parametrici” in quanto non in “presenza di scostamenti rilevanti” e non congruamente motivato l’atto impositivo, in quanto facente riferimento agli studi di settore e non alle specifiche risultanze dell’istruttoria.
3. Contro la sentenza d’appello l’A.E. ricorre con due motivi mentre la contribuente (correttamente intimata) non si costituisce.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso merita accoglimento.
2. I due motivi del ricorso sono suscettibili di trattazione congiunta, in ragione della connessione delle questioni inerenti i relativi oggetti.
2.1. Con il motivo n. 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si deducono violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, della L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies e dell’art. 2697 c.c., sostanzialmente prospettando la non corretta applicazione degli stessi principi sanciti delle Sezioni Unite di questa Corte e posti alla base della statuizione impugnata, oltre che prospettando una motivazione incompleta e generica.
Con il motivo n. 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella sua formulazione, applicabile ratione temporis, anteriore alla sostituzione operata dal D.L. n. 83 del 2012), si deduce invece il difetto di motivazione circa la non ritenuta gravità delle incongruenze, laddove, invece, l’A.E. avrebbe argomentato non solo sugli studi di settore ma anche in forza dell’antieconomicità dell’attività imprenditoriale.
2.2. Entrambi i motivi sono fondati.
In merito necessita evidenziare che le Sezioni Unite di questa Corte (ex purimis, Cass. Sez. U, 18/12/2009, n. 26635) hanno aderito all’impostazione secondo cui, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, le risultanze degli studi di settore (come i parametri previsti dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, commi da 181 187) non costituiscono atto concreto noto e certo, specificamente inerente al contribuente, suscettibile di evidenziare in termini di rilevante probabilità l’entità del suo reddito, ma rappresentano la risultante dell’estrapolazione statistica di una pluralità di dati settoriali acquisiti su campioni di contribuenti e dalle relative dichiarazioni. Sicché i detti studi rivelano valori che, quando eccedono il dichiarato, integrano il presupposto per il legittimo esercizio da parte dell’Ufficio dell’accertamento analitico-induttivo D.P.R. n. 600 del 1973 ex art. 39, comma 1, d), ma, ove siano contestati sulla base di allegazioni specifiche, sono inidonei a sopportare l’accertamento medesimo, se non confortati da elementi concreti desunti dalla realtà economica dell’impresa che devono essere provati e non semplicemente enunciati nella motivazione dell’accertamento. Più specificatamente le dette Sezioni Unite hanno affermato il principio per il quale: “la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati (meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica dilla normale redditività), ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente…”. “… Quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente…”. “… L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall’Ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente il quale, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte…”. In tale ultimo caso, tuttavia, il contribuente “… assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l’Ufficio può motivare l’accertamento sulla base della sola applicazione degli standards, dando conto dell’impossibilità di costituire li contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all’invito” (per l’enunciazione ed applicazione del principio in fattispecie non molto dissimile dalla presente, si veda Cass. sez. 5, 17/02/2011, n. 3923, in motivazione).
Tanto premesso, la sentenza impugnata si rileva, per i profili in esame, censurabile per aver, in difformità dai principi sopra richiamati, disconosciuto legittimità all’accertamento, sotto il profilo motivazionale, senza neanche aver fatto riferimento alla risposta del contribuente in sede di interpello oltre che alle specifiche contestazioni mosse dallo stesso in giudizio. A quanto innanzi si aggiunge il difetto motivazionale in merito alla mancata considerazione della dedotta antieconomicità, posta dall’A.E. ad ulteriore fondamento dell’accertamento basato su studi di settore.
Così facendo, peraltro, la sentenza impugnata ha finito per discostarsi anche da altri principi sanciti da questa Corte nella detta materia ed in linea con le citate Sezioni Unite.
In tema di accertamento induttivo dei redditi, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, l’Amministrazione finanziaria può fondare il proprio accertamento sia sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili “dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta”, sia sugli studi di settore, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (ex plurimis: Cass. sez. 5, 17/12/2019, n. 33340, Rv. 656407-01, oltre che la precedente conforme Cass. sez. 5, 27/07/2011, n. 16430, Rv. 618809-01).
Con particolare riferimento all’importanza del contraddittorio con il contribuente che, come innanzi detto, non traspare dalla sentenza impugnata, questa Corte ha già chiarito che, in tema di reddito d’impresa, qualora il contribuente, regolarmente invitato, non si avvalga della facoltà di prendere parte al contraddittorio precontenzioso, l’Amministrazione finanziaria può fondare il proprio accertamento anche esclusivamente sulle risultanze del confronto tra il reddito dichiarato e quello calcolato facendo applicazione degli studi di settore, salvo il diritto del contribuente di allegare e provare in sede contenziosa, anche per la prima volta, elementi idonei a vincere le presunzioni su cui l’accertamento tributario si fonda (Cass. sez. 5, 30/09/2019, n. 24330, Rv. 655485). La determinazione del reddito mediante l’applicazione dei detti studi, a seguito dell’instaurazione del contraddittorio con il contribuente, infine, è idonea a integrare presunzioni legali che sono, anche da sole, sufficienti ad assicurare un valido fondamento all’accertamento tributario, ferma restando la possibilità, per il contribuente che vi è sottoposto, di fornire la prova contraria, nella fase amministrativa e anche in sede contenziosa (Cass. sez. 5, 18/09/2019, n. 23252, Rv. 655077-01).
3. In conclusione, in accoglimento dei due motivi di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolarizzazione delle spese relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche alla regolazione delle spese del presente giudizio di legittimità.